mercoledì, settembre 28, 2005

Manchester: 2 nascite e un lifting


Manchester e' una citta' con una storia breve, due nascite e un lifting. La storia e’ breve, ma non assente, perche’ sono presenti ovunque i segni dell’inizio. La prima nascita corrisponde con l’alba della prima rivoluzione industriale, quando qui vengono inventati i primi telai mossi dal vapore, e i carichi di cotone proveniente dall'America cominciano a venire trasformati in tessuti per tutto l’Impero inglese. La seconda nascita avviene quando questi carichi smettono di passare da Manchester e la citta' inizia il suo declino, in una societa' che ormai non e' piu’ industriale. Tutte due le "nascite" lasciano segni evidenti nei palazzi e nelle vie che si incontrano camminando. Se dovessi dire quale e' il segno piu' presente, forse direi quello della seconda nascita, quello della "crisi". Una crisi iniziata 60 anni fa e passata attraverso gli anni della Tatcher che qui hanno lasciato il segno.
Oggi la citta' cerca di passare attraverso una terza nascita. Diventare una citta' post-industriale. Sostituire il vetro al mattone rosso, le banche e le imprese di servizi informatici ai laboratori industriali. E' un modo per salvarsi, e la cura funziona. Il centro della citta' e' per certi aspetti un gioiello, degno di una capitale. Dove una bomba dell'IRA ha distrutto nel 1998 un intero quartiere, e' stato costruito un nuovo complesso di centri commerciali insediati in palazzi modernistici. La vecchia stazione ferroviaria e' diventata un centro-congressi. Le gru che si intravedono all'orizzonte sono tante e estremamente alte, quasi a richiamare nuovi grattacieli. Anche lo Stato sta cercando di contribuire, trasferendo qui’ strutture che prima erano a Londra, facendovi disputare i Giochi del Commonwealth, portando finanziamenti. Sembra che la citta' si stia scrollando di dosso la polvere rossa del mattone, che i soldi riprendano a girare dopo gli anni della crisi.
Ma basta allontanarsi 300 metri dai grattacieli e si ripiomba nel mattone, e nelle case operaie. Accanto al centro e all’universita’, tutto ha l’impressione di essere rimasto fermo a trent’anni fa. Ci si rende conto come la rinascita sia soprattutto una vetrina. Piu’ che una nascita, per ora e’ un lifting. E' come trovarsi sul palco di un teatro, dove ricominciano ad esibirsi le compagnie che vengono dalla capitale, e poi scoprire che nel retroscena la vita dei costumisti e dei truccatori continua piu' o meno come prima. O forse le cose vanno meglio di prima, perche' se la compagnia ha ripreso a lavorare, a fine giornata aumenta il pane anche per i comprimari. Ma le case rimangono le stesse, i mattoni pure, e hanno ancora l'apparenza della crisi.
Nel mio ruolo di studente-turista, io mi godo la vetrina, sperando di tornare fra trent’anni e trovare al posto del lifting un nuovo bambino.

Incontro n.3: parte seconda



In seguito alle proteste animalesche della curva sud di questo blog, allego una foto di Silvia. Purtroppo e' di spalle, ma non ho altro al momento a disposizione. Colgo l'occasione per far notare che quello che si vede sullo sfondo non e' un normale pub inglese, ma bensi' il "Cavern Club" di Liverpool. Il locale e' diventato famoso perche' e' il luogo dove i Beatles hanno tenuto il loro primo concerto, e grazie a questo i gestori ci campano da cinquant'anni. E anche il posto davanti a cui si fa inquadrare il cronista del TG1 da Londra Antonio Capranica quando (piu' o meno una volta al mese) fa un servizio che riguarda lontanamente uno dei Beatles, Yoko Ono, Liverpool o un qualche presunto amante di Lady Diana che e' passato da Liverpool.

lunedì, settembre 26, 2005

Incontro n.3: Silvia

Ok, devo ammetterlo. Non ce l'ho fatta. Ho resistito 20 giorni ma al ventunesimo sono crollato. Sono entrato in contatto con una persona italiana.
Una delle cose positive di Manchester e' che gli italiani non sono tantissimi, o comunque sono una parte infinitesima se paragonati ai cinesi. Ma si notano, e parecchio. Sono quelli che a lezione si siedono in ultima fila(ma probabilmente anche nelle riunioni di condominio), e fanno commenti ad alta voce sui fianchi della bidella. Sono quelli che li trovi sempre assieme per strada, in autobus, nelle feste. Sono quelli che urlano. (qualcuno mi fa notare che gli spagnoli sono peggio, ma sapere che c'e' qualcuno peggio di noi non mi consola parecchio. Io non ho mai esultato quando l'Italia batteva la Slovacchia o Cipro nel PierRouge di Giochi Senza Frontiere).
Comunque dopo venti giorni in cui ho fatto di tutto per tenermi fuori dai ghetti italiani, venti giorni in cui rispondevo ai romani "my name is Esteban, I'm spanish", sono miseramente crollato e ho ripreso a parlare italiano con Silvia, una ragazza che ho incontrato sull'autobus che mi portava a Liverpool.
A mia parziale discolpa, adduco tre buone motivazioni:
1) e' simpatica e carina (il che fa "non si sa mai")
2) e' pettegola (il che fa "rarita'", specialmente vivendo in una casa con tedesche)
3) e' un ultras interista (il che fa "tenerezza"), e sostiene di possedere un pezzo del motorino scagliato dal terzo anello di San Siro qualche anno fa (il che fa "reliquia").
Parlare sempre in una lingua di cui si ha una padronanaza limitata, e'un limite immenso a quello che si puo' dire e al pensiero. Devo dire che parlare italiano nella giornata di Liverpool e' stata una liberazione dei sensi, una riscoperta del gusto della chiacchierata, che l'inglese non mi consente ancora. Ma riconosco il mio errore e prometto di ricominciare a chiamarmi Esteban da domani.

venerdì, settembre 23, 2005

When the rain falls



Questa foto ritrae la parete di un pub in Oxford Road.
Il testo dice:
"When the rain falls they talk of Manchester,
but when the triumphant rain falls we think of rainbows.
It's the Mancunians way"

Aggiungo altre considerazioni:

When the rain falls, sai quando inizia ma non sai quando finisce. (Gira voce che in autunno piova ininterrottamente per vari giorni)
When the rain falls, a volte non ti accorgi nemmeno che e' finito.
When the rain falls, i Mancunians non si bagnano. La pioggia a Manchester non bagna, irrita solamente. E i Mancunians non si irritano nemmeno.
When the rain falls, l'ombrello e' inutile.
When the rain falls, la moquette ha un cattivo odore, tipicamente british.
When the rain falls, la pasta e' molto piu' buona.
When the rain falls, i Mancunians lasciano i loro panni all'aperto, ad asciugare sotto la pioggia.
When the rain falls, ci sono solo due posti al mondo dove vorresti essere: in un pub o in una biblioteca.
When the rain falls, gli autobus sono sempre in ritardo.
When the rain falls, gli inglesi li riconosci perche' sono in maglietta.
When the rain falls, i cinesi li riconosci perche' il sapore di cibo cinese diventa molto piu' pungente.
When the rain falls... comunque oggi c'e' un sole splendido...

martedì, settembre 20, 2005

Camillo

Leggo su internet che il Cardinale Ruini ha dichiarato che i PACS e le unioni di fatto sono incostituzionali. Ma allora quella del Referendum non era un'uscita estemporanea? Non e' che ci sta prendendo il vizio?

domenica, settembre 18, 2005

La societa' multiculturale n.3

Ho letto sul sito del Times la relazione di Trevor Phillips, segretario della Commissione per l'Uguaglianza Razziale. La riporto perche' mi sembra che quelle che erano le mie prime impressioni "a pelle", non sono solo mie, e non sono solo impressioni.

"La politica razziale sta fallendo nell'estirpare le radici dell'alienazione etnica e dell'estremismo... Il fatto e' che siamo una societa' che, quasi senza accorgersene, sta diventatno sempre piu' divisa per razza e religione. E stiamo diventando sempre piu' diseguali per etnia... Stiamo lentamente scivolando nella segregazione. Stiamo diventando stranieri gli uni con gli altri, e stiamo lasciando le comunita' isolate fuori dalla corrente principale.
Le nostre scuole stanno diventando piu' esclusive e le nostre universita' stanno iniziando a diventare sempre piu' divise per colore della pelle, con un cartello "fuori i bianchi da qui" virtuale in certi istituti. A Cambridge, Oxford e in altre universita' di livello, si puo' trovare un invisibile messaggio che dice "i neri non possono entrare". Alcuni quartieri sono letteralmente dei buchi neri in cui nessuno va senza paura, e da cui nessuno scappa indenne.
L'America non e' il nostro sogno ma il nostro incubo. Quando l'Uragano colpisce, e pue' essere una recessione piuttosto che un disastro naturale, la segregazione delle comunita' non puo' che portare alla distruzione."

venerdì, settembre 16, 2005

Ghetto universitario n.1: la festa erasmus

Ok. adesso basta. basta con i discorsi da aspirante tuttologo che cerca di scrutare la societa' di Manchester. basta con i panegirici sull'Africa e la societa' multiculturale. Adesso si comincia a stappare birra.
Dopo il trasloco a Fallowfield le cose sono cambiate del tutto: dai coninquilini africani sono passato a quattro europee che mi hanno accolto con una deliziosa torta al cioccolato per il mio compleanno (ma mi sa che stasera devo cucinare io). E poi si e' passati alla prima festa erasmus. Qui' le feste erasmus (o meglio, le feste internazionali, visto che noi erasmus siamo una stretta minoranza) hanno un sapore particolare, in quanto principalmente sono il luogo dove 50 cinesi, malaisiani, taiwanesi e di Hong Kong si infilano in una casa e fermano tutti quelli che vedono nel raggio di cinquanta metri chiedendo nome e provenienza, quasi in un impeto disperato di inserirsi nella realta' occidentale. Per fortuna c'era anche qualche occidentale. Mi chiedo solo perche' dopo aver sentito che sei italiano, meta dei non-europei ti dicono "bello il calcio italiano" e l'altra meta' (in particolare gli africani) ti chiedono se sei cattolico e se tieni una foto del Papa nel portafoglio. (se i pregiudizi degli altri sugli italiani sono cosi' banali, mi chiedo quanto lo siano i miei sulle altre culture).
Comunque per il resto la musica e' un po' la stessa ovunque, la birra pure. Quello che ti fa ricordare che sei in Inghilterra e non in Italia e' il fatto che all'ingresso tutti (e quindi almeno 60 in una casa non molto grande) si devono togliere le scarpe, per non rovinare la moquette. Essere a una festa scalzi, credetemi, e' una cosa terribile.

giovedì, settembre 15, 2005

Afropessimismo 2: Martin

Martin viene dalla Nigeria, anche lui ha girato il mondo, si e' laureato in Geologia ad Amsterdam e ora fa l'operaio a Manchester. A differenza di Paul, Martin e' estremamente orgoglioso del suo paese, e ancora di piu' della sua tribu', e sorride sempre. Mi racconta con partecipazione del suo paese, delle lotte politiche che si mescolano con quelle tribali. Mi dice che la divisione in tribu' potrebbe portare all'esplosione un paese di 115 milioni di persone come il suo. E con questo all'esplosione dell'Africa. Quando gli chiedo come stanno cambiando le cose negli ultimi anni, anche Martin mi da un giudizio negativo. Le cose non possono migliorare. Ma a differenza di Paul, lui vive questo con rabbia. Mi dice "non abbiamo bisogno di aiuti, ma di giustizia". E inizia poi un discorso contro la globalizzazione, la politica europea, il WTO... discorsi gia' sentiti, piu' di cuore che di testa, ma che detti da lui hanno un altro sapore (che comunque non mi convince del tutto). Dal suo parlare esce un'orgoglio "violento" e vitale. Mandela?... e' solo un fantoccio che piace agli europei, ora in sudafrica i neri sono piu' poveri di prima... gli stati europei sanno solo chiudersi per paura di perdere posti di lavoro, per poi inondarci di merci francesi. Recrimina contro la violenza e la mancanza di democrazia nel suo paese. Io gli dico "Martin, qui in Inghilterra, i nigeriani come te sono tantissimi. Perche' non usate la vostra voce?". Lui mi risponde "A loro non importa". Forse e' nel nostro interesse che a loro non importi.

Afropessimismo 1: Paul

Stamattina ho lasciato la mia casa nel quartiere africano (Moss Side) per trasferirmi a Fallowfield, zona universitaria. E lo fatto con somma gioia, visto che la mia vita diventera' molto piu' facile e "leggera".
Ma in parte mi dispiace perche' mi rendo conto che mi sto privando della possibilita' di fare degli incontri che difficilmente faro' nel ghetto universitario. Come quelli di ieri, con i coinquilini africani.
Paul viene dal Malawi. Suo padre e' un diplomatico, e per questo ha vissuto in numerosi paesi dell'Africa Subsahariana, e ormai rifiuta quella realta'. Ne parla come chi ne e' uscito e non ne vuole piu' rientrare. ~Come chi e' migliore di quella realta'. Con rabbia afferma che in Malawi le cose non potranno migliorare, perche' la gente e' invidiosa e inetta, senza voglia di lavorare. Mi dice che il Malawi e' composto per larga parte dal lago omonimo. Che questo potrebbe essere sfruttato come risorsa, per il turismo, per l'energia, per la coltivazione. Ma che questo non viene fatto, perche' i malawiani non lo vogliono fare. Paul e' un ragazzo gentile e sorridente, l'unico che mi ha veramente "accolto" nella casa. La sua origine benestante (non ricca per i canoni occidentali) si vede quando mi racconta dei suoi parenti che periodicamente si recavano da suo padre per chiedere soldi, senza poi "investirli" o farli fruttare. Lui si sta per laureare in Economia qui a Manchester e gli chiedo se non pensa che siano dalle persone come lui, i Malawiani che hanno studiato in Europa, che puo' venire l'input per un cambiamento. Lui mi dice che non ci vuole tornare a casa, perche' in Malawi non sarebbe pagato abbastanza per permettersi una bella casa e una bella macchina. Tutto qui. Ho pensato che le sue aspettative, una bella macchina e una bella casa, fossero stupide e egoistiche di fronte al dramma del suo paese. Ma la sue aspettative, una bella macchina e una casa, sono in parte anche le mie aspettative, quello per cui rincorriamo un titolo di studio, magari trasferendoci temporaneamente all'estero...
CONTINUA

mercoledì, settembre 14, 2005

Me, myself and cricket

Se vi capita di sintonizzarvi attraverso il satellite su una televisione inglese e vedere un giornalista che commenta la vittoria della nazionale inglese di cricket contro l'Australia, con alle spalle una folla festante in una piazza di Manchester, soffermatevi sulla folla. Probabilmente potreste riconoscermi. Per riconoscermi tra tutta quella gente, e' sufficiente che facciate tre mosse:
1) non considerate quelli che hanno una birra in mano;
2) non considerate gli indiani, pakistani e i sikh;
3) non considerate quelli che si stanno divertendo.
Ora che sicuramente mi avete riconosciuto, e avete visto la mia faccia attonita, voglio spiegare la ragione di questo mio sbigottimento... e cioe' il cricket. Da quando sono arrivato le prime pagine dei giornali (di tutti i giornali) sono monopolizzati dalla finale di "The Ashes", cioe' una tradizionale sfida di cricket. Anche stamattina, non sapendo di cosa parlare visto che il torneo e' ormai finito da due giorni, "The Sun" ha sbattuto in copertina un primo piano del protagonista della vittoria inglese, con due occhi moribondi e il volto completamente gonfiato dall'alcool, per mostrare gli effetti dei festeggiamenti del dopo-vittoria.
Ho deciso quindi di non accettare supinamente questa situazione e ho provato a documentarmi su questo strano sport ... impossibile! non ho capito nulla! la cosa piu' chiara l'ho trovata sul sito della federazione italiana di cricket (e so di stupire molte persone affermando che esiste una federazione italiana di cricket). Per rendere conto della impenetrabilita' e della "britishness" di questo gioco cito quattro elementi:
- il campo non ha dimensioni regolamentari (potrebbe essere grande quanto la vostra vasca da bagno o come tutto il territorio dello Sri Lanka):
- le partite durano 5 giorni e non sempre alla fine qualcuno vince:
- le squadre giocano con un completo completamente bianco, corredato da un gilet di cachemire, e anche da un cappello di paglia nel caso degli arbitri (e inoltre quando lasciano il campo il loro vestito e' ancora immacolato)
- come mi fa notare il mio amico Davide, il circket potrebbe benissimo essere definito il "gioco del Commonwealth", visto che vi prendono parte solo nazioni che facevano parte dell'impero britannico (Indie Occidentali, Sri Lanka, Pakistan...)
Chiudo con una nota di colore: il nome del Trofeo e' "The Ashes" (le ceneri) perche'nel 1882, gli australiani, dopo aver distrutto l'Inghilterra, bruciarono i paletti del cricket, raccolsero le ceneri in un'urna e la donarono all'Inghilterra come simbolo delle "ceneri del cricket inglese". Quest'urna e' conservata in un museo e venerata come cimelio... e questo forse e'un quinto motivo per cui non posso capire lo spirito del gioco.

martedì, settembre 13, 2005

Happy Birthday to me

Visto che oggi e' il mio compleanno, e visto che probabilmente nessuno mi sta preparando una festa a sorpresa al mio ritorno a casa (a parte forse la malavita giamaicana), mi fate gli auguri? Ringrazio sentitamente

lunedì, settembre 12, 2005

Incontro n.2: coinquilino nigeriano

Il mio coinquilino nigeriano (il nome sinceramente non saprei trascriverlo) e' il mio punto di riferimento preferito per colloquiare la sera, per quel poco che riesco a capire della sua parlata africana (comunque sempre piu' comprensibile di quella dei Manchunians).
Ieri mi chiede cosa studio a Bologna e che lavoro dovrei fare dopo la laurea...
- bella domanda: forse il diplomatico..
- e per fare il diplomatico da voi bisogna studiare?
- Si, in teoria si'
- Ma e' un lavoro per cui servono delle conoscenze?
- Si, un diplomatico e' un alto burocrate, non un politico...
Pausa... noto lo smarrimento nei suoi occhi
Poi esplode in una risata fragorosa: "no, non hai capito, non va cosi'. In Nigeria per fare il diplomatico basta essere amico del presidente"... cala in me la tristezza nell'intuire che forse anche l'Italia non e' un paese poi cosi' diverso dalla Nigeria.

La societa' multiculturale n.2

Continuano a volare pallottole nelle notti manchunians: il bilancio di ieri e' di un morto, fatto fuori dalla polizia, per fortuna non troppo vicino a casa mia... attendo con ansia il giorno del trasloco. Micheal (Dj Colossus per gli amici) mi ha fatto notare che sto lasciando un ghetto per trasferirmi in un altro ghetto... quello degli studenti.
Manchester e' la piu' grande citta' universitaria inglese (dopo Londra naturalmente) e ospita ogni anno 80mila studenti da tutto il mondo. Quando questi arrivano vengono prelevati all'areoporto, portati gratuitamente in uno studentato dove vengono accolti da decine di studenti-facchini che fanno a gara per prenderti la valigia, in attesa che l'Universita' trovi loro una sistemazione in un costosissimo studentato. Naturalmente tutto questo ha un costo molto salato, e per questo il mio arrivo e' stato molto piu' spartano (in autobus), senza nessuno studente indiano che mi sorridesse come in una foto di McDonald.
Mi viene da pensare che questa e' l'altra faccia della societa' multiculturale: quella ricca. O meglio, ricca non e' il termine giusto perche' non voglio darne un giudizio negativo o pseudo-marxista. Anzi ne sono estremamente colpito e affascinato. Passando di fronte al portone dove vengono accolti gli studenti ci si rende conto che anche questa e' la globalizzazione: quella della cultura. La cultura e' un bene commerciabile tanto quanto le scarpe da ginnastica e qui' l'hanno capito: attirare studenti da tutto il mondo, accoglierli in un atmosfera vagamente da parco giochi, e' un modo per creare ricchezza, rilanciare una citta' perennemente in difficolta', attirare cervelli da Cina, India e Giappone per arricchire l'universita' e la citta', di soldi come di idee. Ma siccome l'impatto con una cultura differente e' per forza traumatico (un ragazzo indiano mi fa notare come alcool e fumo siano spesso scioccanti per i ragazzi indiani), questi vengono coccolati in una Disneyland studentesca, dove viene loro insegnato ogni cosa (da come fare il biglietto dell'autobus o come regolarsi con l'assistenza sanitaria), dopo averli portati a spasso per la citta in un tour organizzato. Spesso il ghetto non e' solo un luogo dove si viene isolati, ma un luogo dove ci si isola volontariamente per essere protetti. C'e' qualcosa di affascinante nel vedere come culture separate da decine di migliaia di chilometri si incontrino senza scontrarsi, a tratti si mescolino pure. E nell'intuire l'importanza e la potenza che la lingua inglese riveste, e la sua capacita' da fare da ponte. Mi chiedo quale sia la vera faccia del multiculturalismo: quella che passa attraverso la globalizzazione della cultura o quella dei ghetti a poche centinaia di metri dalla prima. E se la differenza tra le due, tra il mescolarsi della prima, e l'isolamento della seconda, stia solo in differenze di ceto e di professione. Forse e' proprio cosi'.

sabato, settembre 10, 2005

Pallottole in salsa africana

La mia esperienza con la comunita africana di Manchester ha preso una piega non del tutto piacevole. Mercoledi', tornando a casa alle 6 pm, mi imbatto in una serie infinita di poliziotti nella strada all'angolo di quella di casa mia, che recintano una serie di bar e case con del nastro. Il giorno scopro sul giornale che c'e' stata di fronte a casa mia una sparatoria per strada alle 5e30 del pomeriggio (ripeto, non di notte... di pomeriggio). Risultato: tre persone piantonate all'ospedale, con ferite da arma da fuoco. Visto che il mio e' un normale Erasmus e non un "isola dei famosi" senza "famosi", ho deciso che forse era meglio non rischiare, e ho telefonato alla mia landowner dicendole che il contratto poteva metterselo.... Il giorno dopo ho iniziato le ricerche di una nuova casa: ho approcciato per caso due ragazze francesi e ci siamo messi a telefonare a miliardi di numeri di telefono. Alla fine oggi abbiamo trovato: dividero' una casa carina in piena zona universitaria (Fallowfield) con queste due ragazze francesi di Grenoble e con due tedesche di Norimberga (qualcuno e' forse invidioso?), tutte studentesse di scienze politiche. La casa ha tra l'altro un paio di divani abbastanza spaziosi, nel caso qualcuno voglia venire a trovarmi. A proposito: qualcuno vuole venire? Giuro che in questa zona non volano pallottole... o almeno spero.

giovedì, settembre 08, 2005

La societa' multiculturale

Pensavo di arrivare in Inghilterra e cominciare a scrivere di strane usanze locali, cibi immangiabili e cose del genere. Pero' sono entrato nel paese dalla sua "pancia" ed e' da questa che devo iniziare. La pancia del paese e' "nera".
La mia casa si trova a Moss-Side, nel quartiere africano-caraibico di Manchester, vicina al centro e all'universita', ma comunque un sobborgo degradato e abbastanza marginale. La popolazione del quartiere e' al; 90% di colore e i negozi, i take-away e i barbieri sono tutti etnici. Quando cammino per strada sento lo sguardo delle persone che mi osservano: non in modo minaccioso, ma mi rendo conto di essere come un elemento estraneo, quasi turbassi l'omogeneita' della comunita' e il loro bisogno di essere parte di qualcosa di familiare all'interno di un paese lontano dal loro. Ma tutta Mancheter e' divisa per zone etniche: vi e' Chinatown, il quartiere pakistano, quello arabo...
Il mio primo approccio con il paese e' stato la faccia piu' vera e difficile di quella parola spesso pronunciata in Italia che e' multiculturalismo. Questo e' il vero multiculturalismo, e sempre piu' mi accorgo che in Inghilterra, piu' che una societa' dove ognuno puo' essere accolto, e' una societa' dove ognuno si ritira nel proprio ghetto. Durante il giorno le etnie e le lingue si mescolano nei luoghi di lavoro e negli autobus. Ma alla sera ritornano tutte nel loro quartiere e si riappropriano dei proprio costumi (in verita' il velo e' portato dalla stragrande maggioranza delle donne anche nei luoghi di lavoro, e tantissime bambine lo portano).
Se cerco di andare oltra la mia condizione di "diverso" (che per fortuna termina quando raggiungo l'universita', a 500 metri da casa), c'e' qualcosa di profondamente perverso in questa nozione di multiculturalismo. Me ne sono accorto ieri sera parlando con il mio coinquilino nigeriano (in verita' e' il fratello del mio coinquilino, ma questa casa e' un po' un porto di mare). Mi ha detto che lui non si sente a suo agio in questa zona, perche', in qunato nigeriano, e' guardato male dai caraibici, i quali hanno un'avversione per gli africani dovuta alla tratta degli schiavi settecentesca e alla conseguente perdita di lingua e cultura... e io che pensavo che fossero tutti uguali, catalogandoli in scuri, molto scuri e scurissimi. Mi dice che lui e' contrario a questa ghettizzazione, perche' non porta ad alcun futuro, ma solo alla divisione della societa'. Mi dice che il governo dovrebbe forzare i quartieri ad essere abitati da persone di etnie diverse. Ho apprezzato le sue parole, ma se gli chiedessi come si puo' forzare una persona ad abbandonare la propria identita' per essere secolare per essere un qualcosa di indefinito, non so se saprebbe rispondermi. Ne mi dice perche' abita qui e non in un quartiere arabo. Lui dice che e' per via del cibo, e forse ci crede anche.
Questa e' comunque solo una prima impressione superficiale di un aspetto che mi avvolgera' totalmente in questi 6 mesi. Mi riprometto di ritornarci.

England vs Northern Irland 0 - 1

Ieri sera la nazionale inglese ha perso 1 a 0 contro l'Irlanda del Nord nelle qualificazioni dei mondiali di calcio. Stamattina Metro (il giornale gratuito che danno sugli autobus) titolava: "L'umiliazione". L'attenzione degli inglese sembra pero' maggiormente attratta dalla supersfida di cricket tra l'Inghilterra e l'Australia, che si trascina da giorni e non sembra avere un termine previsto... forse non ho capito bene le regole

mercoledì, settembre 07, 2005

Incontro n.1: cuoco rumeno

Sul volo che mi porta a Manchester riesco con fatica ad approcciare il mio vicino, offrendogli il mio "gustosissimo" panino Alitalia al formaggio (assolutamente inguardabile, figuriamoci a mangiarlo). Scopro che lui e' rumeno e da qualche anno abita in Inghilterra e fa il cuoco.
Quando scopre che non sono mai stato in Inghilterra mi dice: "In Inghilterra la gente si comporta come i dirigenti comunisti avrebbero voluto che ci fossimo comportati noi in Romania... e tutto questo senza il comunismo". E Manchester? "In Manchester there's rain, clouds and tomatoes... anythin but the sun".
P.S. nei due giorni successivi c'e' stato un sole caldo e avvolgente, non intervallato da nessuno sprazzo di pioggia, ma non mi faccio illusioni.