Pechino Vol.8 - Le campane di Pechino
"A Pechino le campane non suonano mai". Me lo dice M. mentre a bordo di un taxi attraversiamo la città in una mattina di sole. E' riprendiamo una conversazione iniziata un anno prima sulla nostra esperienza di persone che non brillano in religiosità in luoghi in cui quella parola ha un significato diverso. La conversazione era iniziata un anno prima, e quella volta era toccato a me parlare delle mie esperienze a vivere in una comunità in un paese come il Canada in cui, lontano dall'ombra del Vaticano, le varie confessioni protestanti rappresentano una forza che plasma la vita larghi strati della popolazione nella loro vita di ogni giorno.Adesso tocca lei, parlare della sua esperienza, uguale e contraria in Cina.
Prendo in prestito le parole che M. ha scritto in una mail, e con la sua autorizzazione le ricopio qui.
"A Pechino le campane non suonano mai, in Cina La religione è un argomento complicato.
Durante l’era di Mao le religioni, di qualsiasi tipo, erano proibite, si credeva e si doveva credere nel comunismo, ma storicamente o tradizionalmente, come piace tanto dire ai cinesi, la Cina non è mai stato un paese molto religioso e il loro approccio alla vita è da sempremolto pratico, votato all’equilibrio delle cose in terra più che al raggiungimento di obiettivi ultraterreni.
In epoca imperiale, Imperatore e Dio spesso si confondevano, l’Imperatore era il figlio del cielo, tenutario del potere politico in terra e figura sacra per il popolo.
Taoismo e Confucianesimo si occupano di cose molto terrene e quotidiane, insegnano agli uomini come comportarsi nella vita di tutti i giorni e sono tra “le fedi” oggi più seguite.
La costituzione cinese dice che lo stato protegge tutte le “normali attività religiose”,qualunque cosa significhi, ma non possono esistere altre forme di autorità oltre il Partito Comunista, ecco perché il Papa ha un po’ di problemi con la Cina e lo Stato Vaticano non ha relazioni ufficiali con la Repubblica Popolare Cinese. Il messaggio è che non c’è nulla più forte del Partito.
Il mio professore dice che a scuola s’insegna ai bambini che credere in un qualsiasi Dio è stupido, una cosa un po’ da matti, dice che in Cina c’è una mancanza di morale e spiritualità preoccupante.
Nel libro che sto leggendo, un ufficiale del partito spiega come in un paese grande come la Cina la democrazia non sia praticabile, il Partito ha, infatti, il ruolo essenziale di mantenerel’ordine sociale e di prevenire il caos. L’autrice lo incalza chiedendogli come mai l’India, altrettanto grande ma democratica, non sia ancora precipitata nel caos, lui risponde candido che in India esiste la religione per controllare il popolo.
Anche questa volta l’incontro e lo scontro con questo paese così diverso dal mio, mi portano a confrontarmi con i simboli della mia cultura e a riconsiderare le mie posizioni.
Il mio approccio alla questione religiosa solitamente molto pratico e razionale, è stato messo in crisi dal pragmatismo cinese. Per la prima volta, non senza un po’ di stupore, mi sono trovata a considerare la possibilità di credere in Dio, qualsiasi esso sia, come una libertà dell’uomo e l’ateismo imposto o caldeggiato come una forma di violenza sociale e culturale.
La fede, per quanto sia spesso polemica nei suoi confronti, porta con sé l’opportunità di un mondo immateriale e invisibile, con cui confrontarsi, abituata ad una religione che si intromette nella politica, non avevo mai considerato l’opposto, una politica che si intromette nella religione.
Il mio professore dice che le religioni hanno abituato i popoli occidentali a far riferimento a diversi poteri, e quindi ad accettare meno volentieri dittature e autoritarismi fare a meno di sorridere agli scherzi del relativismo culturale."
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