sabato, novembre 29, 2008

Pechino Vol.5 - La democrazia Cinese



E questo per me è ancora più difficile da accettare. Non ho trovato la chiave di lettura per capire come la più grande minaccia al mantenimento del potere del partito comunista sia il fatto che il paese, a differenza dell’India, non abbia affrontato ne si appresti a farlo nel futuro, la transizione alla democrazia. M. mi dice, la più grande bomba ad orologeria per il regime viene dal basso, dalle campagne, dai poveri. Non dall’alto. E questo mi lascia perplesso. Le riforme economiche degli ultimi 30 anni hanno dato vita a una dinamica classe imprenditoriale che è diventata sempre più influente nel paese. Una nuova borghesia che non ha nulla a che fare con il passato, che manda i figli a studiare negli Stati Uniti o in Canada, che legge l’inglese e fa affari con il resto del mondo è ora consolidata nelle maggiori città. E io penso che una volta che certi gruppi sociali abbiano risolto il problema della fame, un altro tipo di fame sopraggiunga. Che il benessere economico porti a domande di maggiori libertà politiche, libertà di espressione, libertà di culto. M. mi dice che questo non preoccupa più di tanto l’elite al potere. Il partito unico ha assorbito molti esponenti di questa classe imprenditoriale nei propri ranghi, e loro sono stati disposti ad unirsi al partito perché ciò voleva dire assicurarsi le condizioni per condurre ed accrescere i propri affari. Ma c’è qualcosa di più. Non è solo cooptazione. E’ anche consapevolezza. M. mi dice come l’elite cinese, sia quella nei ranghi del partito che quella economica, sia consapevole del momento storico in cui il paese si trova. Di come ogni richiesta di maggiori libertà democratiche, così come ogni strappo che possa indebolire il controllo del partito, metta a rischio la crescita economica, e il passaggio definitivo della Cina dall’epoca premoderna alla modernità. Una frase che risuona spesso tra gli intellettuali all’interno del paese è “in Cina la democrazia sul modello occidentale non funzionerebbe perché ci sono un miliardo e mezzo di persone”. Questo è falso, visto l’esempio dell’India. Ma quello che è vero un passaggio verso maggiori libertà politiche, d’espressione, e di religione potrebbe minare il processo lineare di crescita economica che il paese ha vissuto negli ultimi decenni. Rompere l’armonia interna. M. pazientemente risponde alle mie domande e spiega come nella cultura Cinese l’individuo non abbia mai avuto un ruolo preciso separato dalla comunità a cui appartiene. I diritti dell’individuo vengono ridimensionati dal bisogno di preservare il benessere della comunità. Di come la nozione di stato, nazione, e potere, che sia l’imperatore, Mao, o il Partito Comunista, si confondono. Lo stupore dura poco, tempo di rendersi conto che in Europa i diritti individuali sono un passaggio che ha origine pochi secoli fa, con l’umanesimo, e la Rivoluzione Francese. Ma mi chiedo in che modo l’apertura al mondo della Cina abbia portato all’interno del paese le richieste di diritti individuali nel campo economico, il diritto di impresa, il diritto di commerciare e perseguire il proprio benessere economico individuale. Ma che allo stesso tempo le richieste di diritti individuali non si estendano ad altri aspetti che io considero sacri, come il diritto di espressione.