giovedì, settembre 25, 2008

Diario della crisi, Parte 6 – E adesso?

A cosa serve questo “assegno”? i 700 miliardi di dollari sono destinati a un fondo pubblico che dovrebbe comprare dalle banche tutti i “toxic asset”, gli strumenti finanziari che hanno avvelenato i loro bilanci. La prima funzione della decisione del governo di compare questi titoli è quella di rimuovere questo cancro che sta uccidendo il sistema bancario americano. La seconda funzione è di fare in modo che le banche ricomincino a fare circolare il credito invece di ammassare quel poco che hanno. La speranza è che una volta i bilanci sono stati ripuliti, la fiducia nel mercato bancario possa essere ripristinata, e le banche possano riprendere a prestare soldi normalmente. In altre parole, ripulendo il virus l’occlusione che blocca le vene dovrebbe essere sciolta e il sangue potrebbe scorrere normalmente. La terza funzione è quella di "creare" un prezzo per questi titoli tossici. In un'economia di mercato il prezzo viene definito dall'incontro tra la domanda (chi vuole comprare quel bene) e l'offerta (chi vuole vendere quel bene). Ma in questi mesi la domanda di mortgage-backed securities è scomparta, ed è diventato difficilissimo, quasi impossibile, capire quanto questi titoli valgano in realtà. Il prezzo dei mortgage-backed security ora è così basso a causa del panico dei mercati da essere irrealistico. In teoria, il governo potrebbe perfino guadagnare da questo intervento, quanto meno tra qualche anno.Fra qualche anno, quando il declino dei prezzi delle case finirà, il prezzo di quei titoli salirà a livelli più realistici. Il problema è che le banche attualmente sono troppo fragili e non possono permettersi di tenere questi titoli nei loro bilanci per qualche anno, non possono tenere il veleno per così lungo in corpo. Il governo invece forse aspettare che la fiducia torni nei mercati, e vendere questi strumenti finanziari a un prezzo più alto in futuro.
Ma le probabilità che il piano funzioni non sono chiare. Che strumenti finanziari verranno comprati? E soprattutto: a che prezzo? Se il prezzo è troppo basso, le banche non vorranno disfarsi di questi toxic assets. Se il prezzo è troppo alto, ci sarebbe una reazione del paese, che vedrebbe il tutto come un esempio di “socialismo per le banche”. In queste ore il Congresso Americano sta discutendo se dare il via libera a questo piano. La crisi non potrebbe arrivare a un momento peggiore. Fra due mesi ci saranno le elezioni, e oltre al presidente, si voterà anche per rieleggere quasi metà dei parlamentari. Non facile per un senatore dell’Ohio spiegare ai propri elettori (che in molti casi pensano che i loro posti di lavori sono rubati dalla Cina) che una somma di tale entità del bilancio dello stato viene usata per salvare il sistema finanziario piuttosto che per sussidi di disoccupazione, assicurazione sanitaria o finanziare una istruzione migliore. Per questo Bush è intervenuto stasera. Per dire alla nazione: è un’emergenza! Bisogna fare qualcosa ora. Per dare un capro espiatorio ai Congressmen, e favorire l’approvazione del piano.
Quello che è sicuro è che la crisi ha già cambiato per sempre tre aspetti del sistema finanziario americano. Il primo è la fisionomia di Wall Street. Delle 5 investment bank (banche che non accettano depositi) che esistevano un anno fa, due sono fallite, una è stata assorbita, e due si sono tramutate in banche centrali. L’epoca dei livelli astronomici di indebitamento del sistema bancario è finita per un periodo che potrebbe essere molto lungo.
La seconda cosa che è cambiata è il rapporto tra Wall Street e la politica. Gli ultimi 2 decenni sono stati anni di deregolamentazione dei mercati finanziari, in cui un parte sempre più rilevante dei mercati si è sviluppata al di fuori del business tradizionale delle banche, cioè prestare denaro. Una logica inevitabile nella regolamentazione dei mercati afferma che non appena le tasse dei cittadini sono usate per salvare degli istituti finanziari, in quel momento cominciano a moltiplicarsi le voci in favore della creazione di misure più stringenti. La stessa cosa succederà adesso. Il rapporto tra la politica e i mercati procede come un pendolo. La fiducia nella capacità del mercato di autoregolamentarsi è stato un fondamento delle politiche degli ultimi anni, che descrivevano l’intervento statale come un’interferenza controproducente. Non è la prima volta. Prima della crisi del 1929 l’intervento dei governi nella regolamentazione dei mercati finanziari era minimo. Ma le crisi finanziarie mostrano come le fondamenta di ogni mercato siano “politiche” e nessun mercato può funzionare senza le adeguate istituzioni e scelte politiche. Visto che la politica è dovuta entrare in soccorso della finanza fino a un punto che non si era visto dagli anni ’30 solleva il dubbio che – come è successo dopo il 1929 – il pendolo potrebbe tornare indietro verso un maggiore controllo da parte di agenzie governative sui mercati.
Il terzo aspetto del sistema finanziario americano ad essere cambiato è il suo rapporto con il resto del mondo. La crisi è stata fino ad’ora una crisi “americana”, non globale. Molte banche europee non sono messe molto meglio che le banche americane, ma sicuramente la situazione in Europa non è d’emergenza come dall’altra parte dell’Atlantico. Una grande sorpresa di questi mesi è stato quanto poco paesi al di fuori degli Stati Uniti e Europa abbiano risentito della crisi. Si dice che quando gli Stati Uniti starnutiscono, il resto del mondo prenda il raffreddore. Non è stato vero nel caso dei mercati finanziari in paesi come la Cina, che secondo il pensiero di molti fino ad un anno fa rappresentava il punto in cui una nuova crisi sarebbe potuta scoppiare dopo quella Asiatica del 1997-98. Non sto escludendo che questi paesi non ne risentiranno, specialmente una volta che l’economia americana rallenterà e comincerà a comprare meno prodotti cinesi e dal resto del mondo. Ma sicuramente quello che ne ha risentito è la reputazione del capitalismo americano a Pechino, a Rio de Janeiro, a Seoul, a Bangkok.

Diario della crisi, Parte 5 – Quando il sangue smette di scorrere nelle vene



Il fallimento dei due fondi di investimento di Bearn Stearns ha aperto gli occhi su quello che stava succedendo nel mercato immobiliare e nel mercato delle mortgage-backed Securities. Immediatamente, la liquidità in questi mercati è scomparsa, il che vuol dire che nessuno era più disposto a comprare questi titoli, il cui valore è ulteriormente crollata. La maggior parte era nelle mani dei maggiori istituti finanziari americani, che negli ultimi anni si erano buttati a capofitto in questo mercato in cerca di guadagni più alti e sottovalutando nettamente il rischio. Enormi buchi sono comparsi nei bilanci delle maggiori banche al mondo, che da settembre 2007 hanno cominciato ad annunciare perdite inaspettate. Inoltre, questi buchi continuano ad allargarsi, visto che il prezzo delle case continua a scendere (punta della piramide), causando così un crollo continuo nel prezzo di questi titoli (base della piramide)
La fiducia è una risorsa fondamentale nei mercati finanziari. Ma all’improvviso da settembre 2007 questa è diventata un bene prezioso. Banche sono diventate restie a prestarsi soldi tra di loro non sapendo bene quale fosse la reale situazione dei loro bilanci. Questo ha portato molte banche sull’orlo del baratro. Le maggiori banche internazionali sono altamente indebitate. Questo è normale per una banca. Ma mentre la vostra Cassa di Risparmio si indebita nei confronti del propri risparmiatori, accettando i loro depositi, le banche d’affari non hanno sportelli e raccolgono il capitale di cui hanno bisogno per finanziare le proprie operazioni dai mercati finanziari. Negli ultimi anni, le banche hanno aumentato la quantità di denaro preso in prestito in modo da poter incrementare le loro operazioni, e i loro profitti. Mentre nel 1980, l’indebitamento del settore finanziario americano era pari al 21% del prodotto interno lordo americano, nel 2007 questa percentuale era quasi 6 volte più grande (116%). Ma all’improvviso il sangue ha smesso di scorrere perché le banche non si fidano a prestare i propri soldi in un periodo in cui i propri bilanci sono colpiti da perdite generate dai loro investimenti in mortgage-backed Securities, in cui non avevano alcuna certezza dello stato di salute degli altri istituti finanziari a cui avrebbero dovuto prestare i soldi. La crisi generata nel mercato immobiliare si è trasformata in un “credit crunch”, una “stretta del credito”. Molte banche si sono trovate in estremo bisogno di credito. Sono arrivati in soccorso come cavalieri bianchi alcuni “sovereign wealth fund”, fondi di investimento controllati da governi asiatici e mediorientali. Fondi controllati dai governi di Abu Dhabi, Singapore, e cinese hanno investito miliardi di dollari nelle banche americane. Ma i loro investimenti si sono rivelati fallimentari, visto che le azioni delle banche in cui avevano investito continuavano a crollare.
Le banche centrali di tutto il mondo hanno provato a porre dei rimedi, iniettando liquidità, cioè denaro, nei mercati. Trasfusioni di sangue per riportare la normalità nel sistema venoso prima che il sangue cominciasse a scarseggiare anche agli organi, l’economia reale, le aziende, le persone che devono chiedere un prestito. Le trasfusioni sono continuate per un anno. Evitando che il sistema venoso ormai intasato dalle tossine e dalla mancanza di fiducia collassasse. Ma una trasfusione non è un antibiotico, e non può ripulire il corpo dalle tossine.
A gennaio il primo grande scossone alla faccia di Wall Street. Bearn Stearns una delle 5 “investment bank” (banca d’affari) americane è stata salvata sull’orlo del fallimento dalla Federal Reserve, che ha favorito la sua acquisizione da parte di un’altra banca (JP Morgan). Dopo il salvataggio di Bearn Stearns molti hanno tirato un sospiro di sollievo, e io mi sono fatto convincere da quelli che dicevano che il peggio era passato. Perché il peggio doveva essere alle spalle? Perché il governo americano (in verità la Banca centrale) si era impegnata a usare denaro pubblico per salvare una banca in difficoltà. Era un segnale che non ci sarebbe stata una nuova crisi del 1929, quando il governo di Hoover e la Federal Reserve non erano corse in soccorso del sistema bancario che stava crollando.
Ma ci eravamo sbagliati. La crisi di fiducia è peggiorata con il peggiorare dei buchi nel bilancio delle banche. Fino a Settembre 2008, quando tutto è diventato irreale. Prima il governo americano ha dovuto nazionalizzare Freddie Mac e Fannie Mae. I nomi fanno ridere, ma non sono altro che acronimi dati a due istituti finanziari semi-pubblici che fornivano un’assicurazione o compravano mutui originati dalle banche americane. Sotto il peso del crollo del valore dei mutui che avevano assicurato, Freddie e Fannie sono arrivati sull’orlo del tracollo, prima di essere de facto nazionalizzati dal governo americano. Una nazionalizzazione di dimensioni epocali, visto che il loro valore raggiunge i cinquemila miliardi di dollari. Tutta la ricchezza prodotta in Italia in 5 anni. Cosa ha spinto il governo americano a questo passo? Freddie e Fannie non potevano essere fatti fallire. In parte perché, assicurando la maggior parte dei mutui americani, rendevano più agile alle famiglie indebitate il pagamento della rata. Ma un altro motivo sta nel fatto che il maggiore creditore di Freddie e Fannie è il governo cinese, che negli anni ha usato parte delle riserve valutarie della propria banca centrale per comprare titoli che considerava sicuri come l’oro, o come l’oro del XX secolo, cioè i titoli del tesoro americano. Un fallimento di Freddie e Fannie avrebbe provocato perdite ingenti per il governo cinese e altri paesi est-asiatici, e la reazione sarebbe potuta essere drammatica per il sistema finanziario.
Pochi giorni dopo Freddie e Fannie, è stato il turno di Lehman Brothers, una tra le maggiori banche americane. Fondata nel 1850, aveva superato una guerra civile, due guerre mondiali, la grande depressione, il Lunedì Nero del 1989, ma non questa crisi. A differenza di Bearn Stearns, il Tesoro americano non è intervenuto in soccorso di Lehman, in parte per lanciare un chiaro messaggio: non useremo i soldi dei cittadini per salvare banche che sono in difficoltà a causa dei propri errori.
Ma nel XXI secolo spesso questa scelta è un lusso che non ci si può permettere. Gli ultimi decenni hanno visto la nascita di banche e istituti finanziari che sono “too big to fail”, visto che la loro caduta avrebbe ripercussioni su altri istituti finanziari. Il fallimento di Lehman, pochi mesi dopo Bearn Stearns ha provocato il panico nei mercati. Investitori si sono cominciati a chiedere: chi sarà il prossimo a non farcela? Le puntate sono andate su un’altra banca storica, Merril Lynch, che è stata salvata tramite una fusione con Bank of America. Il giorno dopo il Tesoro è dovuto intervenire in soccorso di AIG, il più grande colosso assicurativo al mondo, sborsando 80 miliardi di dollari. Morgan Stanley e Goldman Sachs, le uniche due banche d’affari sopravvissute alla crisi, hanno deciso di trasformarsi in banche commerciali (cioè di accettare depositi), in modo da poter accedere a fondi di emergenza da parte della Federal REserve.
E per provare a mettere la parola fine su una discesa che sembra non avere fondo, il Tesoro americano ha deciso di fare un regalo a Wall Street: un assegno da 700 miliardi di dollari.

Diario della crisi, Parte 4 – Una piramide capovolta

La prima volta che ho letto su un giornale l’espressione “mortgage-backed Securities” non avevo la minima idea di cosa questa espressione volesse dire. Ancora ora non ho ben chiaro come tradurre l’espressione in Italiano.
La descrizione più chiara che ho trovato su internet li definisce “Titoli di credito garantiti da un pool di prestiti ipotecari di tipo residenziale o commerciale. Essi derivano da un processo di securitization che trasforma i mutui ipotecari in titoli scambiabili sul mercato”. Oppure, “Titoli emessi a fronte di un’operazione di cartolarizzazione il cui cash flow è garantito dal rimborso di mutui commerciali o residenziali”. Non chiara abbastanza? Ne hoMi stupirei dei contrario.
Nella maggior parte delle banche italiane, quando una famiglia si reca a chiedere un mutuo, la banca analizza le possibilità che questa famiglia ha di ripagare il capitale prestato e accede ai propri depositi per concedere il prestito. Gli interessi che mensilmente vengono pagati sono il prezzo che la banca riceve per aver impegnato il proprio denaro in quel mutuo e per essersi assunto il rischio che la famiglia ha cui prestato i soldi non sia in grado di ripagare. Il sistema creditizio americano si è invece sviluppato secondo un modello diverso (che ha fatto capolino in Europa solo negli ultimi 10 anni). Quando l’istituto creditizio concede un mutuo, questo non rimane nei suoi libri contabili. La “promessa di ripagare”, e il flusso di denaro che questa genera mensilmente, non viene tenuto dalla banca che ha conceduto il mutuo ma viene venduto. A chi? Ai mercati finanziari, altre banche, piccoli risparmiatori, chiunque. Vengono create delle obbligazioni o titoli azionari, i quali vengono quotidianamente scambiati nei mercati finanziari, il cui valore deriva dal futuro pagamento delle rate del mutuo. Comprando quella obbligazione ci si assicura una parte dei soldi che la famiglia avrebbe dovuto restituire alla banca.
Questo processo viene chiamato “securitization”. Nella lingua italiana, “cartolarizzazione” (qualcuno si ricorda di quanto Tremonti propose di cartolizzare il debito dello stato italiano?). Inoltre, le “mortgage-backed Securities” venivano divise in piccole parti e mescolate con titoli del tesoro o altre obbligazioni, e impacchettate in nuovi strumenti finanziari chiamati “collateralized debt obligations” (CDOs).
Allo stesso tempo, molti istituti finanziari cominciarono a vendere “credit default swap” (CDS). Questi erano “derivati finanziari” che assicuravano contro le possibili perdite che derivassero dal default di un mutuo o prestito. Nel 2001 il valore nominale di questa famiglia di titoli era mille miliardi di dollari (1 trillion). A metà del 2007, il mercato aveva raggiunto i 45 trillioni (migliaia di miliardi) di dollari.
Per capire il legame tra questi strumenti finanziari e l’economia reale, pensate a una piramide capovolta, che si regge sulla propria punta. La punta è il mercato immobiliare. Lo strato superiore, più ampio, è il mercato finanziario costituito da una miriade di strumenti finanziari il cui valore dipende da quello del mercato immobiliare (la metafora viene da un libro molto bello, “The Trillion Dollar Meltdown” di Morris). In cima alla piramide ci stanno i credit default swap, che sono appunti strumenti finanziari il cui valore non deriva dal valore di qualcosa di reale come una casa, ma bensì dal valore di altri titoli finanziari (i mortgage-backed Securities, appunto).
Questa piramide ha avuto per anni effetti positivi. Il processo di “securitization” è stato difeso e lodato per i suoi effetti benefici. Se una banca si assume interamente il rischio che il proprio cliente non sia in grado di ripagare, questa subirebbe una perdita notevole nel caso le cose girino nel verso storto. Ma se quel rischio viene diviso in piccole parti e diffuso su tanti investitori, il rischio diventa più piccolo. Dividendo i mutui i vari pezzi e vendendo questi pezzi sui mercati, il rischio che una famiglia non potesse ripagare il proprio mutuo diventava veniva disperso. La presenza di assicurazioni nei confronti di un eventuale default (credit default swaps) disperdeva ulteriormente il rischio. Così disperso da essere irrilevante. Questo meccanismo permette che ci siano più persone disposte ad investire in questi titoli, più capitale disponibile per finanziare mutui, mutui più convenienti, più persone che possano comprare una casa. Gli effetti positivi di questo sistema sono stati notevoli.
Ma cosa succede se un numero alto di famiglie smette di pagare il proprio mutuo perché il valore della propria casa è crollata? Cosa succede se la punta della piramide rovesciata oscilla? In quel caso, la base della piramide subirà oscillazioni ancora più ampie. E così è successo. Quando la bolla nel mercato immobiliare è scoppiata, le obbligazioni che derivavano il loro valore dal mercato immobiliare sono diventati carta straccia (questi titoli azionari non rappresentavano altro che la promessa di pagamento di una serie di mutui divisa tra tanti investitori che si assumevano il rischio, con il valore dell’immobile come collaterale). Il problema è che a questo punto, questi strumenti finanziari erano ovunque. Nelle mani delle maggiori banche. Nelle mani di investitori. Nelle mani di fondi pensioni. Nelle mani della Banca Centrale Cinese. Come è si è arrivati a ciò? I mutui subprime – mutui privi di garanzie, dati a persone che non potevano permettersi di ripagare - erano stati spezzettati e mescolati assieme a titoli più sicuri, creando “credit default obligations”. Dopo di che erano intervenute le “credit rating agencies” come Moody e Standards & Poors. Il compito di queste agenzie è valutare la solidità di una compagnia o di uno stato, e dare un giudizio sulla possibilità che questi ripaghino il proprio debito (immagino tutti abbiano sentito nei telegiornali una frase del tipo: “Oggi Moody’s ha rivisto il proprio il giudizio sul rating del debito pubblico italiano”). Lo stesso tipo di giudizio è stato dato nei confronti dei titoli garantiti dal rimborso dei mutui. E la maggior parte delle volte il risultato era un timbro Tripla-A, il massimo livello di sicurezza per un titolo azionario. Titoli che in verità erano tossici (visto il rischio che le famiglie non potessero ripagare i loro mutui-facili) venivano assemblati insieme a titoli più sicuri, e assegnato un timbro di garanzia AAA. Questo ha permesso che titoli “tossici” si disperdessero nei mercati finanziari, venendo comprati da istituto finanziari che non capivano o sottostimavano la loro rischiosità. Questa situazione era aggravata da un problema di incentivi. Le persone che originavano questi mutui venivano pagati in base al numero di mutui elargiti, non in base alla probabilità che questi venissero effettivamente ripagati. Il fatto che chi creava il mutuo lo avrebbe poi rivenduto ai mercati finanziari invece di assumersi il rischio, portava a chiudere un occhio sul tipo di persone a cui veniva rilasciati i prestiti. Tanto, in caso le cose fossero andate male, il costo sarebbe stato pagato da qualcun altro.
Il rischio che doveva essere disperso era ora ovunque, come una tossina che entra in circolo nelle vene. Il rischio che doveva essere spezzettato dal processo di cartolarizzazione, non era diminuito ma solo nascosto, così che le persone che detenevano questi titoli non erano arrivati a capire esattamente quale fosse la base di ciò che avevano nel proprio conto titoli.
Finchè a fine luglio 2007, due fondi di investimento gestiti dalla banca americana Bearn Stearns, e che avevano investito abbondantemente in MBS, dichiarano bancarotta. Da lì la strada è tutta in discesa, e non è ancora chiaro dove sia il fondo.

Diario della crisi, Parte 3 – La più grande bolla immobiliare della storia


Immagino che chi non è interessato all’argomento ha già abbandonato la lettura da un pezzo. Per chi invece continua a leggere voglio provare a spiegare come siamo arrivati fino a questo punto, e cosa sta succedendo in questi giorni convulsi.
Nonostante la crisi attuale stia sconvolgendo l’alta finanza e i piani alti di Wall Street, la sua origine è molto più terrena. E’ nel mercato immobiliare. In Florida. In California. Nel resto degli Stati Uniti. Negli ultimi anni, più o meno dall’inizio del secolo nuovo, i prezzi delle case negli Stati Uniti hanno subito un incremento senza precedenti. Robert Shiller ha dichiarato che quello avvenuto tra il 2000 e la metà del 2005 negli Stati Uniti è stata la più grande bolla immobiliare nella storia. Quando si parla di bolla si tende ad indicare che i prezzi sono saliti continuamente per un periodo prolungato, fino a raggiungere un livello che non ha alcun legame con i cambiamenti avvenuti nel frattempo nell’economia reale. Secondo una logica economica i prezzi delle case potrebbero continuare a salire all’infinito solo se la popolazione che risiede sullo stesso territorio continuasse ad aumentare (senza che i prezzi di costruzione diminuiscano). Ma questo non era il caso degli Stati Uniti. I prezzi continuavano a salire unicamente perché famiglie americane investivano nel mattone aspettandosi di poter rivendere la loro casa a un prezzo maggiore. Metà della crescita dell’intera economia americana nella prima metà del 2005 – il picco della bolla – era legato al mercato immobiliare o all’industria delle costruzioni o acquisti legati alla casa.
A cosa si deve questo prolungato aumento dei prezzi delle case? Sono ormai in molti ad addossare la responsabilità ad Alan Greenspan, che era in quegli anni a capo della Federal Reserve (la banca centrale americana). Greenspan è stato considerato fino allo scoppio della crisi una figura mitica, quasi intoccabile, l’artefice dietro anni di crescita economica e prosperità negli Stati Uniti. La sua aurea magica è ora compromessa. Quale è la sua colpa? Quella di aver tenuto i tassi di interesse troppo bassi troppo a lungo. Dall’11 Settembre 2001, negli Stati Uniti i tassi d’interesse sono rimasti particolarmente bassi. Questo vuol dire che il denaro costava poco. In altre parole, era possibile ottenere un prestito, così come un mutuo da una banca pagando interessi limitati. Bolle immobiliari simili sono emerse contemporaneamente in altri paesi, in Inghilterra, in Spagna, in Irlanda… Essendo i tassi di interesse così bassi, è diventato molto conveniente ottenere un mutuo per comprare una casa. In anni in cui la borsa si stava riprendendo da un’altra bolla speculative, quella dei titoli legati alle nuove tecnologie scoppiata nel 2001 (dot-com bubble), la casa è diventata una forma di investimento attraente, visto il continuo aumento dei prezzi e il basso costo dei mutui. Il livello di indebitamento delle famiglie americane è schizzato alle stelle, raggiungendo nel 2007 una cifra pari al 100% del prodotto interno lordo (cioè tutta la ricchezza prodotta in un anno nel paese), mentre nel 1980 era solo al 50%. Molte famiglie hanno usato la propria casa come un bancomat, rifinanziando i propri mutui con un nuovo mutuo di valore più alto con cui estinguevano il precedente, e parte dei soldi venivano dedicati ad altre spese, una macchina, l’università per i figli. Ma una parte notevole delle nuove case erano in tra le comunità afro-americane o i Latinos. Negli strati più poveri della popolazione. In questi anni il credito è diventato accessibile a strati più ampi della popolazione, e ceti bassi hanno potuto fare il loro ingresso nella “homeowner society”, e comprare la casa che non avevano potuto permettersi in passato. Visto la abbondanza di credito, le garanzie richieste sono diventate più basso. Un “subprime mortgage” è appunto un tipo di mutuo garantito a persone che non potrebbero ottenere un mutuo normale in quanto non possono offrire garanzie sufficienti. Un estremo in questa famiglia di mutui-facili erano i cosiddetti mutui NINJA, dove questo acronimo sta per “No Income No Job or Asset”. Per accedere a questo tipo di mutui non erano richieste garanzie come un lavoro o una fonte di reddito. Se il valore della casa era destinato a continuare a salire, ripagare il mutuo non sarebbe stato un problema. Alcune banche sono arrivati a concedere mutui pari al 125% del valore della casa. Una di queste era Northern Rock, la prima banca a subire un assalto ai propri sportelli per ritirare i depositi in Gran Bretagna dal 1866. Northern Rock è stata ora nazionalizzata dal governo inglese.
Invece nel 2005 la bolla è scoppiata. L’incantesimo si è spezzato e i prezzi delle case sono cominciati a scendere. Per la prima volta nella storia americana, i prezzi immobiliari sono scesi in tutto il paese, e non solo in uno stato. Man mano che il valore della casa crollava, le famiglie che si erano indebitate non trovavano più conveniente pagare un mutuo di un valore superiore a quello dell’immobile, e interrompevano i pagamenti. Una quantità crescente di mutui nel 2006 e 2007 è diventato carta straccia, e molti istituti creditizi che originavano questi mutui sono entrati in crisi. Questa è l’origine della crisi. Una crisi del mattone. Però la crisi che Bush sta cercando disperatamente di affrontare riguarda le alte sfere della finanza, nomi storici come Lehman Brothers e Goldman Sachs che muovono migliaia di miliardi nei mercati più avanzati, non istituti creditizi locali che finanziano mutui a famiglie di colore nella periferia di Chicago. Come è possibile che una bolla immobiliare abbia cambiato la geografia di Wall Street e originato una crisi con conseguenze mondiali?

Diario della crisi, Parte 2 – La tempesta perfetta

Diario della crisi, Parte 2 – “Mi sento in po’ in crisi”
Mi spiego. Ero arrivato in Canada poco più di un anno fa, spinto dalla motivazione di passare i successivi 4 anni della mia vita studiando, imparando, facendo ricerca, e magari pubblicando articoli su temi di finanza internazionale. Il motivo per venire proprio qui a Waterloo era la presenza di un professore esperto nel campo con cui avrei voluto lavorare e da cui avrei voluto imparare. Cosa c’entro io con temi di Finanza internazionale. Poco nulla. Quanto meno a vedere dal mio conto in banca (sono l’unica persona al mondo ad avere 3 conti in banca in 3 paesi diversi, tutti tendenti allo zero sul saldo finale). Ma quello che mi aveva affascinato dell’argomento era la contraddizione tra la potenza e la fragilità del sistema finanziario internazionale. Potenza data dalla difficoltà solamente di immaginare che ogni giorno più di tre trillioni di dollari (tremila miliardi di dollari) passino di mano nell’unico mercato al mondo che sia veramente globalizzato, e dove le barriere fisiche e temporali non contano. In un mondo frammentato in confini e barriere nazionali, mercati finanziari che operano in tempo reale 24 ore su 24 rappresentavano una sfida alla nostra capacità di immaginare lo spazio e il tempo. Il secondo aspetto che affascinava intellettualmente della finanza internazionale era fragilità innata. Nonostante, i mercati finanziari siano un velo invisibile sopra l’economia reale (quella delle aziende, negozi che vendono tutto ciò che possa cadervi su un piede), a scadenze più o meno regolari tendono ad entrare in cortocircuito. Sono il sistema di vene e arteria che porta il sangue agli organi. MA quando il sangue rallenta la circolazione, e viene contaminato, gli organi ne soffrono. Gli organi sono l’economia “reale”, il tuo posto di lavoro e il tuo stile di vita.
L’ultimo cortocircuito, quello che mi aveva avvicinato a questo argomento, è avvenuto dieci anni fa nella parte opposta del globo. Nel 1997 una crisi finanziaria colpisce quattro paesi nell’Asia sud-orientale: Indonesia, Malesia, Corea del Sud e Tailandia. Le loro valute perdono qualsiasi valore in un tempo breve, il sistema bancario collassa, e la chiusura delle banche mette in crisi le aziende e l’economia reale. In Indonesia la crisi provoca la fine della dittatura di Suharto. Ma allo stesso tempo anche 36 milioni di persone vengono spinte sotto la soglia di povertà in quel paese. La crisi ha un riverbero mondiale. Meno di un anno dopo il governo russo smette di ripagare i debitori. L’effetto contagio colpisce prima il Brasile, e poi Wall Street, dove un gruppo di banche deve salvare un LTCM, un hedge fund (un fondo d’investimento poco regolato e poco trasparente) che annoverava tra i suoi membri due premi Nobel per l’economia, e aveva nei propri libri contabili 120 miliardi di dollari in investimenti.
L’onda lunga che dall’Asia arrivò agli Stati Uniti ha generato un dibattito infinito e affascinante, nelle stanze di banche centrali, ministeri delle finanze, così come nelle università. Quali sono le cause dell’instabilità dei mercati finanziari? Come prevenire una nuova crisi? Come governi nazionali la cui giurisdizione è limitata dai loro confini territoriali possono governare qualcosa che non conosce confini? Parte degli accademici e i governanti dei paesi colpiti dalla crisi denunciavano la naturale instabilità e irrazionalità dei mercati finanziari e proponevano la reintroduzione di qualche forma di controllo sui movimenti di capitale, granelli di sabbia che rallentassero il funzionamento dei marcati finanziari, e che frenassero la capacità del capitale finanziario di attraversare i confini. La risposta dei governi occidentali fu invece che la colpa non era nella instabilità dei mercati, ma nelle politiche dei paesi colpiti della crisi, nei rapporti incestuosi che legavano le banche, le aziende e il governo in Asia Orientale, nella scelta di liberalizzare i propri mercati troppo in fretta senza aver prima passato legislazioni simili a quelle occidentali che garantissero il funzionamento dei mercati. Lo shock è stato tale che il dibattito è proseguito per un decennio. C’era una premessa che faceva da fondamento all’intero dibattito: il rischio da cui dobbiamo guardarci le spalle è che una nuova crisi emerga in un paese in via di sviluppo, e che possa propagarsi fino a noi visto il livello di interconnessione che i mercati di tutto il mondo hanno sviluppato. La proposta di ricerca con cui ero stato ammesso al dottorato in Canada si inseriva in questo dibattito e guardava al rapporto tra la Bank of International Settlement (un’organizzazione internazionale nel campo bancario) e paesi emergenti (vedi Cina) che non figurano tra i suoi membri.
Gli stessi governi che fanno parte del G7 e che per dieci anni avevano agito partendo dalla premessa che una nuova crisi non sarebbe scoppiata nel loro cortile. Invece questo è proprio quello che è successo. Dopo 6 anni di stabilità (l’ultima crisi rilevante è stata quella Argentina, nel dicembre 2001), una nuova crisi finanziaria è scoppiata nel 2007, ed è scoppiata dove non era attesa. Negli Stati Uniti. Nel centro della finanza mondiale.
Quando sono arrivato in Canada a settembre 2007, i primi tremori comparivano sulle pagine interne dei quotidiani, per spostarsi fino alle prime pagine. Poi le scosse alla stabilità del sistema finanziario americano si sono moltiplicate. Fino ad arrivare alla chiusura di alcune tra le maggiori banche americane la settimana scorsa, e alla nazionalizzazione della più grande ditta di assicurazioni al mondo (AIG). Quello che volevo ricercare sembrava ad un tratto di secondaria importanza di fronte agli eventi che si accavallavano. Verso gennaio 2008 ho deciso di gettare all’ortiche il progetto di ricerca che avevo coltivato per più di un anno e tutte le mie idee, per dedicarmi in futuro unicamente a questa crisi. Un’idea precisa di cosa avrei fatto non l’avevo, e ancora non ce l’ho, ma la sensazione era che quello che stavo osservando quotidianamente sui giornali avrebbe avuto un impatto per decenni. Come ha dichiarato Alan Greenspan, “uno di quegli eventi che succedono una volta al secolo”. L’ultima volta che è successo qualcosa di tale grandezza era appunto nel secolo scorso. Qualcuno all’inizio ha avanzato paralleli con la crisi delle Savings and Loans, piccoli istituti finanziari che elargivano mutui negli anni ’80 negli Stati Uniti. Il costo finale di quella crisi fu la chiusura di 1600 istituti finanziari e un costo di 120 miliardi per le casse dello stato. Altri hanno avanzato paragoni con lo scoppio della bolla immobiliare in Giappone negli anni ’90. Il costo di quella crisi fu un decennio di stagnazione economica per la seconda potenza economica. Qualcuno ha avanzato paralleli con la crisi del 1929. Il costo di quella crisi fu la distruzione dell’economia mondiale, l’ascesa di movimenti fascisti in tutta Europa, e un capovolgimento del rapporto tra stato e mercato che è durato fino agli anni ’70, con l’avvento di Ronald Reagan, Margaret Tatcher, e nelle politiche neoliberiste. Quello che ora non si ha il coraggio di chiedersi è quale potrebbe essere l’effetto di questa crisi. E’ per allontanare lo spettro di questa domanda che Bush sta chiedendo ai cittadini americani un assegno da 700 miliardi di dollari.

Diario della crisi, Parte 1 – “Good evening, this is an extraordinary period…”

“Good evening, this is an extrordinary period for the American economy…” E’ finito il conto alla rovescia che da un’ora campeggiava nell’angolo dello schermo, sul canale CNBC. Poi il presidente Bush ha iniziato il suo discorso, ripercorrendo le tappe che hanno portato a questa situazione, illustrando il piano del Tesoro americano, e chiedendo che il Congresso americano trovi un accordo e di fatto rilasci al governo un assegno con impressa la cifra: 700 miliardi di dollari. Un’ora prima McCain e Obama hanno rilasciato una dichiarazione congiunta su questi temi. I commentatori dei canali finanziari stasera erano particolarmente nervosi. Oggi i mercati creditizi erano intasati. Il ritorno sui titoli del tesoro americano erano praticamente zero, mentre il tasso d’interesse a cui le banche prestano soldi tra di loro era alle stelle. Il messaggio è chiaro: gli investitori stanno mettendo tutti i loro soldi in titoli del tesoro, pensando che in un periodo come questo lo stato americano fosse l’unica azienda che non rischi il fallimento. Come siamo arrivati a ciò? E soprattutto cosa c’entra con me? In questo blog ho sempre evitato di parlare di ciò che studio o di argomenti semi-impegnati. Mi concedo un’eccezione, visto che quello che sta succedendo in queste ore, settimane, mesi, mi riguarda eccome. E in verità potrebbe riguardare anche voi. Il cielo sta crollando sul capo di tutti quelli che si occupano di finanza. Fra poco o qualche mese i detriti arriveranno sulla testa anche delle persone che con la finanza non hanno molto a che fare. Fino in Italia. Nessuno rimarrà ustionato. Ma qualche scottatura sotto forma di crescita zero e aumento della disoccupazione in Italia è possibile. E gli unici che ne traggono beneficio in questo terremoto sono quelli che questi eventi li studiano. Io in particolare.

P.S. Questo voleva essere un post-breve. Ma l’ho scritto di getto per 4 ore. L’ho diviso in parti, per facilitare la lettura. A chi non è interessato, questa è l’ultima occasione per chiudere la pagina internet e aspettare che torni a scrivere di vita canadese.

mercoledì, settembre 17, 2008

L'esame

Ore 8e46. Fra 14 minuti si dovrebbe accedere una luce rossa sul mio desktop. Tipo quell ache lampeggia nell’Ottobre Rosso, il sottomarino nucleare sovietico condotto da Sean Connery quando alle spalle arriva l’intera marina russa. Non una luce di emergenza, ma una mail con due domande. Sto per iniziare l’ultimo esame della mia vita. Esame accademico intendo. Dopo di quello, solo esami medici, esami del sangue, esami del contatore dell’acqua e gas, esami per rinnovare la patente. SArà un esame di 24 ore. Le domande vengono inviate agli studenti alle nove di mattina in una e-mail. Le risposte vanno riconsegnate la mattina dopo. Si chiamamo “comprehensive exams” in quanto lo scopo è quello di testare la conoscenza della “letteratura” accademica, di tutta la letteratura nel campo dell’economia politica internazionale, prima di lasciare lo studente al proprio destino e alla sua ricerca. Mi chiedo quale è stato il primo esame che abbia dato in università. Ah si! Primo parziale di Microeconomia. Novembre 2003.Sulle gradinate di Via BErti Pichat 250 studenti sudati e vocianti. Davanti a loro stava Francesca Barigozzi, detta Franci, se ne stava impaurita alla cattedra, con un tono forzatamente sicuro, che celava l’insicurezza di chi aveva più figli che anni di insegnamento accademico. Si è accesa la luce rossa. Si inizia. Ciao Franci. Ti penso sempre con affetto.

Ore 9:05. Ecco la mail.
You have 24 hours to complete this exam. Answers are to be submitted electronically to Professor Boychuk/April Wettig at the end of the exam period.
Q1 –Which theoretical tradition (or traditions) in the study of global political economy best explains the evolution of the governance of the global political economy since 1945?
Q2 – Answer one of the following:
a) Who exercises authority in the international monetary and financial system and how?
b) "Global financial markets have become ungovernable" Discuss.
c) "Because globalization is most extreme in the financial sector, it is in this sector of the world economy where innovations in governance have been most pronounced." Do you agree?
Le domande non sono scontate ma sicuramente non difficili. Non esiste una risposta, ma migliaia di modi per argomentare. La pancia comincia a lamentarsi. Conosco quel movimento. E’ il famoso mal di pancia isterico da esame. Pensavo di aver imparato a controllarlo dai tempi del liceo. Basta non pensarci e lei si calma. Colonna Sonora: The Cinematic Orchestra


Ore 11:20. 21 ore e 40 minuti alla fine. Le risposte stanno uscendo abbastanza naturalmente, la pancia si è calmata, ma sale la fame isterica. Afferro dal frigorifero i tortellini alla panna che avevo cucinato ieri sera. Scaldarli nel micronde è un lusso inutile a questo punto, visto la natura puramente psicologica della fame. Non ho fame, solo bisogno di muovere la bocca. Nel frattempo perdo un mare di tempo su internet per controllare se assisteremo oggi alla fine del mondo sui mercati finanziari e il collasso del più grande gruppo assicurativo del pianeta (AIG) o se le autorità americane interverranno. La borsa Americana per ora regge. Non che mi interessi più di tanto, ma ho la sensazione che è meglio per me se la fine del mondo arrivi domain, dopo che ho finito l’esame. Colonna Sonora: Nat King Cole.


Ore 12:01. 20 ore e 59 minuti alla fine. Primo caffè. Rigorosamente gramo e con tanto latte a confondere le idée. Il sospetto che il latte nel frigorifero dell’ufficio sia andato male sfiora per un attimo la mente, ma lo scaccio guardando da un’altra parte mentre vuoto il cartone nella tazza. Colonna Sonora: Louis Armstrong. What a wonderful world!

Ore 12:10. 20 ore e 50 minuti. Momento di mancanza di concentrazione. Intavolo una conversazione sull’asse Canada-Svezia con Niccolò. Tema: uno sconosciuto gruppo musicale canadese. Lo svedese non apprezza. Stizzito torno al mio esame. Colonna Sonora: Mother Mother – Touch up!

Ore 12:53. 20 ore e 7 minuti. Pausa YouTube. Finisco su un fantastico video in cui John Stewart e Stephen Colbert – due comici americani - parlano della scelta di Sarah Palin come candidata alla vice-presidenza per il partito Repubblicano. http://www.youtube.com/watch?v=TGCRncVOkS0
http://www.youtube.com/watch?v=wQK1al91drs

Ore 18:21. Faccio fatica un po’ di fatica a contare quanto manca alla fine. 14 ore e 39 minuti forse, ma non sono pienamente lucido e potrei sbagliarmi. Ho finito di rispondere alla prima domanda. Non proprio finito. Devo accorciarla un po’. E devo scrivere la bibliografia. Un’ora e mezza di lavoro forse, ma tengo quell’ora per questa notte o domani mattina, quando la mia mente non saprà fare altro che taglia-e-incolla. Sono comunque soddisfatto della risposta. Prima di buttarmi sulla seconda ho deciso di dormire 20 minuti. Il tempo di liberare la mente. Mi sono tolto le scarpe e coricato sul divano che abbiano nella conference room del nostro ufficio. Il divano è vecchio e lurido, con in mezzo una macchia immensa di caffè. Chiaramente il responsabile di quella macchia sono io, il giorno in cui mi rovescia una tazza intera sui pantaloni per poi rimanere il resto della mattina in mutande, as aspettare che i jeans si asciugassero. Quando sto per addormentarmi, entra nella stanza Betsy, e mi ricompongo, cercando di fingere uno sguardo semi-lucido e quasi intelligente. Betsy è arrivata da poco a Waterloo ed ha appena iniziato il suo dottorato. Ha 40 anni, forse 45 anni e prima di tornare agli studi era un avvocato a Toronto. Non la conosco ancora e immagino che la mia vista stravaccato sul divano non abbia giovato molto all’impressione che ha di me. Betsy stampa alcune pagine dal suo portatile e ritorna nel suo ufficio. Riprogrammo la sveglia e riprovo ad addormentarmi. Due minuti, e poi si riapre la porta. Entra l’uomo delle pulizie. Questa volta è giorno di pulizie straordinarie, visto che l’uomo – 65 anni, cappello smorto, e pensione che si avvicina.

Ore 20:45. 13 ore e 15 alla consegna. No, mi sono sbagliato. 12 ore e 15 alla consegna. Comincio a sentire la stanchezza e mi chiedo se non mi convenga dormire un po’. Pensiero pericolosissimo. Meglio scacciarlo subito. Cambio continuamente postazione, dalla scrivania al divano, dal divano alla scrivania. Mi trasformo in organizzatore di eventi e mando una mail collettiva ai miei compagni di esame, invitandoli domani mattina a fare colazione alle 8e30. La scelta dell’orario è una iniezione di ottimismo, visto che la consegna è per le 9. Il titolo della mail invece è un po’ più pessimista: “Nel mezzo del cammin di nostra vita. mi ritrovai per una selva oscura. ché la diritta via era smarrita”. All’improvviso mi si blocca Word. No, cazzo! Lo riapro e riapre i file temporanei su cui stavo lavorando, compreso la pagina su cui sto scrivendo questo diario di bordo. Avevo fatto una copia di backup non molto tempo fa. Spero di non aver perso troppe parole. Soundtrack: TV on the Radio, e un po’ di imprecazioni.

Ore 21:01. 12 ore e 59. Per recuperare i dati persi mi ci sono voluti 20 minuti. Eppure ne sono passati solo 15 dall’utlimo. Strano enigma spazio-temporale. E’ chiaro che il tempo si sta dilatando e contranendo in modi non chiari alla luce della fisica Newtoniana. Forse è l’esperimento del CERN di Ginevra.

Ore 1:58. 7 ore e 2 minuti alla fine. Mi sono concesso un sonno di venti minuti tra mezzanotte e quaranta, e l’una di notte. Detto così fa un po’ ridere. Oppure fa un po’ pena. Si, probabilmente fa più pena che ridere. Continuo a scrivere e dovrei finire il tutto entro mattina. Ma queste supposizioni si basano unicamente il fatto che il caffè da due soldi che teniamo in ufficio, e che da ore continua a riempire la mia tazza extra-large, mi salvi da una catalessi improvvisa. Colonna Sonora: silenzio di tomba

Ore 4e25. 4 ore e 35 alla fine. Jason si alza dalla sua sedia, afferra un Pallone da calcio che teneva da qualche parte sotto la sua scrivania, e corre attraverso l’ufficio calciando il pallone. Sento i rumori della palla che sbatte contro i muri dell’edificio, e poi all’esterno, nel campus della facoltà, e verso gli altri edifici. Un uomo sull’orlo di una crisi mentale che prende a calci un pallone in una notte canadesi di fine estate.

Ore 6, più o meno. Non conta quanto manca alla fine. Comunque è poco tempo. L’ultima ora è stata piena di nervosismo. Il programma di videoscrittura si è piantato facendomi perdere una decina di minuti di lavoro. Poi si è piantato ancora. Poi ancora. Le risposte sono quasi pronte ma non riesco a trovare la chiave di volta che dia coerenza al tutto. La mente non funziona bene. Decido di dormire ancora una mezz’ora, dalle 5 e mezza alle 6.

Ore 8 e 15. 45 minuti alla fine. Ma il lusso di consegnare in anticipo non me lo voglio perdere. Il testo davanti a me sia più che sufficiente ma non quanto vorrei, ma la ricerca del perfezionismo la lasciamo da parte. Mando la mail al professore, e mi preparo a raggiungere il caffè in centro Waterloo in cui ho invitato gli altri compagni di esame per fare colazione. Sono passati 4 mesi da quanto ho iniziato a preparare questo esame. Sulla scrivania ci sono quasi 30 libri che domani dovrò riportare in biblioteca. Tempo di uova sbattute, bacon, e patate. Anche l’unto più unto sembra attraente a questo punto.

Ore 9 e 20. 6 ragazzi e 12 uova attorno a un tavolo di una locanda rustica di nome Angie. La foto di Angie compare davanti a me. Signora anziana dal volto tondo e le gote confie. Dalla foto però sembra che sia la foto di una salma appena passata tra le mani di un decoratore di cadaveri. Jason di fronte a me interrompe la colazione per rispondere al telefono. Dopo un po’ mi dice “E’ il professore. Non ha ricevuto la tua mail”. Arresto cardiaco, ma solo un secondo. Apro il portatile e miracolosamente si materializza una connessione wireless. A Waterloo, nel regno del BlackBerry e degli ingegneri informatici cinesi, le connessioni internet sono ovunque. Apro la mail, e trovo che l’indirizzo a cui ho spedito il mio esame mi ha rispedito la mail al mittente. Riprovo. Ancora un fallimento. Il tempo è scaduto ormai. Chiamo il professore. Mi chiede: come hai scritto il mio nome? BoyChuck! No, Boychuk senza la seconda C. Non posso dirgli che in verità pensavo che il suo cognome si scrivesse come Chuck Norris.

Ore 10:20. Salotto di casa mia. Il camino elettrico acceso per fare scena. Una tazza di caffè corretta con una tazza di Bayles, mentre il sole di metà mattina illumina il corridoio e il percorso fino al mio letto. Buona notte e sogni d’oro.

domenica, settembre 07, 2008

Czechusca

Ore 10:21 a Milano. Ore 04:21 a Waterloo, che ancora sta dormendo. Ore 16:21 a Pechino. Scrivo dall'aeroporto di Milano Malpensa. Fra meno di un'ora dovrei imbarcarmi su un volo con destinazione New York. Da li dovrei arrivare in Canada entro stanotte. Dovrei. Se le cose vanno bene stasera riuscirò a dormire nella mia casa nuova, sul pavimento visto che il mio letto nuovo non mi è stato ancora consegnato dall'Ikea. Se le cose vanno male invece stanotte dormirò al caldo. A Guantanamo. Infatti ho scoperto recentemente che sono una sorta di clandestino negli Stati Uniti. L'ultima e unica volta che ho varcato la frontiera americana mi sono dimenticato di restituire il visto temporaneo alla mia uscita del paese. Nei computer dell'Homeland Security Department, il ministero creato dopo l'11 Settembre che controlla le frontiere americane, io non ho mai lasciato il paese. Vaglielo a spiegare adesso tu che è stato un banale malinteso. Loro mi accoglieranno con un sorriso, un mitra, e la raccolta delle impronte digitali (non necessariamente in questo ordine). Io avrò solo il mio sorriso.

Ore 16:08 a New York. Ore 22:08 a Fidenza. Ore 4:08 a Pechino. Sono a New York. Ripeto, New York, non Guantanamo. Sono uscito indenne dall’attraversamento della frontiera americana. E pensare che le premesse non erano delle migliori. Al mio ingresso sull'aereo, il passaporto viene controllato da un assistente di volo Alitalia, capelli lunghi leccati all'indietro, 45 anni, e la pancia di varie misure più larga di quanto l'Associazione Cardiologi Italiani consigli. Mi dice che mi faranno un sacco di domande e mi consiglia di disfarmi del mio visto temporaneo scaduto da 8 mesi in maniera sordina, prima di arrivare alla dogana. Sull’aereo rinuncio all’open bar, e alle provviste illimitate di Tavernello che l’alitalia da ai suoi clienti della classe economica (in qualche modo mi ha ricordato dell’orchestra che suonava mentre il Titanic affondava). Non voglio avere l’alito che puzzi di vino di fronte al plotone d’esecuzione. Arrivato ai controlli di sicurezza mi metto in fila. Mi tocca un uomo sui quaranta, rasato, e con dei bicipiti che trasbordavano il confine. Comincio a sudare freddo. Poi all’ultimo momento si libera la fila di fronte. Porgo il passaporto e faccio notare la mia situazione prima che la scoprano loro. L’ufficiale doganale strappa il mio visto scaduto da 8 mesi, lo butta in un angolo e mi lascia andare. Chiaramente tutto questo dopo aver preso le impronte digitali e fatto una foto. Tutto qui? Non faccio polemica per la mancanza di interrogatorio e mi incammino. Forse ha aiutato il fatto che il suo nome – sulla targetta appuntata sulla divisa - fosse Czechusca, fosse una immigrata di origine Ceca di mezza età e con i bigodini, e parlasse a mala pena l’inglese. New York per me porterà sempre il volto di Czechusca, l’angelo Ceco con i bigodini venuto a salvarmi da oltre la Cortina di Ferro.
Fra un paio di ore, nuovo imbarco. Destinazione Toronto. Si torna a casa.

Istantanee d'Agosto

Alcune istantanee dei momenti più significativi delle 5 settimane che ho trascorso in Italia
- mi sono fermato a Voghera per la prima volta in vita mia. Un’ora intera sulla strada di Genova. La casalinga non era in casa. Forse alla Coop
- ho approfittato della calura estiva per ignorare completamente la politica italiana. Non avrei mai sperato di trovarmi Berlusconi ogni giorno in televisione e non provare alcuna reazione se non “passiamo alle notizie importanti. Chi ha vinto il trofeo Birra Moretti?”
- ho fatto una lunga camminata da Piazza de Ferraris al porto antico elencando le mie intolleranze. Chiaramente al porto antico non avevo ancora finito. Se è vero che sono i nostri difetti che ci distinguono dalla massa, sono abbastanza alto in graduatoria.
- mi sono iscritto in palestra. Non penso di esserci andato più di dieci volte, ma se non ha risolto i problemi della mia schiena, sicuramente ha rafforzato il mio Ego. Qualcuno potrebbe forse sostenere che di questo non ce n’era bisogno.
- Ho migliorato notevolmente il mio rovescio a ping-pong guardando i Cinesi stravincere la medaglia d’oro nelle gare delle Olimpiadi di Pechino.
- sono tornato a Stoccolma. La Socialdemocrazia fa bene alla pelle e quindi era giusto tornarci. 3 anni dopo la prima volta. 4 giorni e 2 notti. 4 aeroporti diversi. 2 ottimi compagni di viaggio. 1 bolognese a cui abbiamo riportato le palle che aveva lasciato al check-in. Troppo tardi. Più che un bolognese è un ibrido emiliano-nordico. Un piatto di tortellini al ragù di renna. 1 ex che speravo di non incontrare ma che alla fine sono stato felice di vedere. Ho realizzato che chiudere con me normalmente aiuta le persone a migliorare la propria vita. Sensibilmente. 10 gradi e un pannetto sulle gambe a coprirsi dal freddo al sabato sera in una discoteca. Una grande attrazione per la città, per quella meraviglia di eleganza, senso civico, qualità della vita, stile, serenità che 50 anni di socialdemocrazia in salsa Nordica hanno costruito. Il non riuscire ad essere però ancora conquistato dalla città. Penso di aver capito il perché. E’ la mitezza della città. I colori sono miti, pastello, catturati dal grigio quando le nuvole coprono il sole. L’architettura e lo stile sono miti. Non deludono ma non sorprendono. Una città meravigliosa, ma una città dalle passioni miti.
- La mia socio fobia è peggiorata un po’, ma nulla di preoccupante.
- Ho fatto il baby sitter. In questo mese mia nipote ha imparato almeno 5 parole nuove. Nessuna di queste figura sulla Treccani, ne ha la minima possibilità di comparirvi nell’edizione del 2009.
- Ho celebrato il mio ritorno al calcio giocato dopo 3 anni di inattività. Il giorno dopo ho celebrato il mio addio al calcio giocato. Nessuno dei due eventi è stato memorabile.
- Un pranzo di matrimonio sugli argini del Po’ a concludere il mese. In onore della divinità locale, il Maiale, riporto il menu:
o Antipasti: spalla cotta calda, salame, lardo alto del Po, focaccine tiepide, torta fritta, Parmigiano-Reggiano.
o Culatello di Zibello con riccioli di burro
o Gamberi d’acqua salmastra con germogli d’orto (cioè insalata)
o Bauletti di pasta di gnocco ripieni di ortaggi con capperi, origano e lamelle di Tosone
o Risotto di casa Verdi con zafferano, salamino, e zucchine
o Filetto di Maialetto nero al mosto d’uva Fortana
o Bue bianco della valle del Po cotto rosato
o Vini: Muller Thurgau, Pinot Nero, Brut di Valdobbiadene, Fortana del Taro, Moscato d’Asti
Gira voce che ci fossero tra i presenti anche un paio di vegani. Sono stai visti mentre si aggiravano smarriti sugli argini del Po’ con le mani tra i capelli, annunciando la morte di dio.

venerdì, settembre 05, 2008

Lavorare con lentezza

Stamattina l'università di Bologna mi ha comunicato che posso finalmente ritirare la pergamena che certifica il compimento dei miei 3 anni di studio all'Alma Mater Studiorum .... 26 mesi dopo la mia laurea. Con calma.