Czechusca
Ore 10:21 a Milano. Ore 04:21 a Waterloo, che ancora sta dormendo. Ore 16:21 a Pechino. Scrivo dall'aeroporto di Milano Malpensa. Fra meno di un'ora dovrei imbarcarmi su un volo con destinazione New York. Da li dovrei arrivare in Canada entro stanotte. Dovrei. Se le cose vanno bene stasera riuscirò a dormire nella mia casa nuova, sul pavimento visto che il mio letto nuovo non mi è stato ancora consegnato dall'Ikea. Se le cose vanno male invece stanotte dormirò al caldo. A Guantanamo. Infatti ho scoperto recentemente che sono una sorta di clandestino negli Stati Uniti. L'ultima e unica volta che ho varcato la frontiera americana mi sono dimenticato di restituire il visto temporaneo alla mia uscita del paese. Nei computer dell'Homeland Security Department, il ministero creato dopo l'11 Settembre che controlla le frontiere americane, io non ho mai lasciato il paese. Vaglielo a spiegare adesso tu che è stato un banale malinteso. Loro mi accoglieranno con un sorriso, un mitra, e la raccolta delle impronte digitali (non necessariamente in questo ordine). Io avrò solo il mio sorriso.
Ore 16:08 a New York. Ore 22:08 a Fidenza. Ore 4:08 a Pechino. Sono a New York. Ripeto, New York, non Guantanamo. Sono uscito indenne dall’attraversamento della frontiera americana. E pensare che le premesse non erano delle migliori. Al mio ingresso sull'aereo, il passaporto viene controllato da un assistente di volo Alitalia, capelli lunghi leccati all'indietro, 45 anni, e la pancia di varie misure più larga di quanto l'Associazione Cardiologi Italiani consigli. Mi dice che mi faranno un sacco di domande e mi consiglia di disfarmi del mio visto temporaneo scaduto da 8 mesi in maniera sordina, prima di arrivare alla dogana. Sull’aereo rinuncio all’open bar, e alle provviste illimitate di Tavernello che l’alitalia da ai suoi clienti della classe economica (in qualche modo mi ha ricordato dell’orchestra che suonava mentre il Titanic affondava). Non voglio avere l’alito che puzzi di vino di fronte al plotone d’esecuzione. Arrivato ai controlli di sicurezza mi metto in fila. Mi tocca un uomo sui quaranta, rasato, e con dei bicipiti che trasbordavano il confine. Comincio a sudare freddo. Poi all’ultimo momento si libera la fila di fronte. Porgo il passaporto e faccio notare la mia situazione prima che la scoprano loro. L’ufficiale doganale strappa il mio visto scaduto da 8 mesi, lo butta in un angolo e mi lascia andare. Chiaramente tutto questo dopo aver preso le impronte digitali e fatto una foto. Tutto qui? Non faccio polemica per la mancanza di interrogatorio e mi incammino. Forse ha aiutato il fatto che il suo nome – sulla targetta appuntata sulla divisa - fosse Czechusca, fosse una immigrata di origine Ceca di mezza età e con i bigodini, e parlasse a mala pena l’inglese. New York per me porterà sempre il volto di Czechusca, l’angelo Ceco con i bigodini venuto a salvarmi da oltre la Cortina di Ferro.
Fra un paio di ore, nuovo imbarco. Destinazione Toronto. Si torna a casa.
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