mercoledì, ottobre 22, 2008

40 giorni di vita Canadase in 7 punti





Resoconto in sette punti degli ultimi 40 giorni di vita dal mio ritorno sul suolo canadese

Punto 1. La casa
Mi sono trasferito in una casa nuova. Bellissima. E’ una residenza storica risalente al fine ‘800. Secondo lo storico locale, nonché vicino di casa, questo era il primo ufficio postale nella cittadina. La divido con Jason, amico e compagno di dottorato. Un camino elettrico troneggia nel salotto. Con delusione ho scoperto che quella che brucia all’interno è semplicemente una lampadina che simula il fuoco. Sopra al camino elettrico, una finissima collezione di liquori collezionata con amore in un mese. Limoncino e Martini Bianco a dare un tocco di Italianità. Al loro fianco la foto di Miss Schwener, una diciottenne locale con le gote gonfie e una corona da Miss Italia. Schwener è un circolo o una pro-loco tedesca a Kitchener che ogni anni elegge la propria reginetta. Per partecipare alla selezione bisogna avere almeno 16 anni, non essere sposate, ed essere membri attivi del circolo. Per essere eletti al prestigioso titolo, le partecipanti devono dimostrare la loro conoscenza della storia del club. Una volta incoronata, Miss Schwener si accollerà il compito di rappresentare il club e la sua storia per un anno intero, sarà l’ambasciatrice delle radici tedesche nella comunità, e dovrà prendere parte anche alla competizione per l’elezione di Miss Kitchener-Waterloo.
Sono riuscito a rintracciare l’identità della Miss Schwener immortalata nella foto. La sua biografia rivela che è stata un membro del club sin da bambino, il suo bisnonno è stato uno dei fondatori del club, e dall’età di 15 anni lei balla con il corpo di ballo del club. Inoltre, l’anno scorso ha assunto la carica di direttrice dei costumi. Probabilmente si è accorta che non sarebbe mai riuscita a rientrare nelle dimensioni di una ballerina, e tra la dieta e le aspirazioni artistiche ha scelto un compromesso: la direttrice dei costumi. Durante le celebrazioni dell’Oktoberfest, alcuni amici non hanno resistito alla tentazione di staccare dal muro del locale la foto della reginetta del circolo, e uscire dal locale con la foto sotto il braccio, ammiccando ai buttafuori. Secondo alcune voci, Miss Schwener era stava in quel momento danzando nella sala da ballo, ignara che la sua effige veniva sottratta. Tecnicamente tutto ciò è un furto. Ma gli scrupoli morali per aver accettato il dono se ne vanno quando la osservo dominare il nostro salotto, che ora è chiaramente un protagonista del Novecento.
I padroni di casa sono una coppia di 70 anni. Ken e Barbara. Barbie e Ken. Ken è un preside di una scuola in pensione, ora in pensione. Passa i suoi giorni restaurando case o restaurando Cadillacs. Barbie è la pupa del bullo, cioè Ken. Nella batte l’arrosto di Barbie, come ho potuto accertare quando ci hanno invitato a cena.
Ho innalzato il mio stile di vita. Ho ordinato una moka elettrica su Ebay che mi è stata presto spedita da un commerciante in Florida. Ho anche un letto Ikea Aneboda. Un letto a una piazza e mezzo, perché in Canada i letti singoli non li hanno neanche i Visconti Dimezzati. Ho anche un comodino Ikea Aneboda. E una cassettiera Ikea Aneboda. E’ stato grande passo per me. Non avevo mai montato nessun pezzo Ikea nella mia vita. Ma è stato un grande passo per me anche in un altro senso. Fino a poco fa, tutti i miei averi stavano comodamente in una valigia. Come un clandestino pronto alla fuga. Ora ho un letto, il che mi rende un proprietario immobiliare, visto che il letto non si riesce a farlo stare in valigia neanche da smontato. Sento che mi manca l’aria.

Punto 2. Lo sport
Ho cominciato a fare un po’ di attività fisica. Prendo lezioni di nuoto. Due volte alla settimana. Attorno a me, i compagni e compagnie di corso sono più balene che delfini. In ogni caso mammiferi, ma non della mia misura. Questa sera, nel tentativo di fare una virata subacquea a fine vasca sono riuscito nell’impossibile obiettivo di rompermi il terzo dito del mio piede sinistro. Quello in mezzo, protetto da altre quattro dita. Per giunta in acqua. Ricordandomi della volta in cui mi sono rotto il dito più piccolo dello stesso piede, mi sono messo il cuore in pace, ho estratto un rotolo di nastro adesivo dai cassetti della cucina, e ho fatto un gesso fai da te.

Punto 3. Oktoberfest.
Questo fine settimana abbiamo celebrato la locale Oktoberfest. Qualsiasi guida turistica, alla voce “Waterloo” citerà con orgoglio che la città ospita la più grande Oktoberfest al mondo al di fuori dei confini tedeschi. La comunità di Waterloo-Kitchener era anticamente un insediamento di immigrati tedeschi. Il nome originario della città era Berlino, prontamente cambiato in Kitchener allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando Canada e Germania si trovarono su lati opposti delle trincee. Gli abitanti della Berlino Canadese prontamente rinunciarono alle loro origini tedesche e cambiarono il nome della città da Berlino a Kitchener. Ma non rinunciarono alla loro birra. Cosa è quindi un’Oktoberfest in Canada? Semplice. Prendete un palazzetto del ghiaccio. Ricoprite il ghiaccio con delle assi, visto che birra e ghiaccio non vanno d’accordo. Mettete dei chioschi che vendono birra a basso costo ovunque. Mettete in un angolo un’orchestrina che suona delle polke, per poi passare a Michael Jackson. Fate arrivare un corpo di ballo bavarese dalla Germania, e fategli fare una danza in cui con un accetta tagliano un tronco di pino a ritmo di musica. Date alla popolazione canadese una scusa per vestirsi con costumi bavaresi, calzettoni alle ginocchia, bratelle, cappelli con la biuma. Ora date loro una scusa per bere birra al ritmo della polka. L’imbarazzo per essere in tutto ciò si attuisce leggermente alla terza birra, ma non scompare mai del tutto.

Punto 4. La Fiera Mondiale di Rockton
E’ arrivata la giornata del Ringraziamento. In Canada il Ringraziamento si festeggia un mese prima che negli Stati Uniti. Le origini della celebrazione si mescolano alle antiche feste agresti per la raccolta, e siccome qui siamo più a nord, il raccolto avviene prima che nel resto del continente. Quest’anno sono stato trascinato alla Fiera Mondiale di Rockton (http://www.rocktonworldsfair.com/). Un’ora passata tra carote, ortaggi, galline, cavalli, pecore, capre, cetrioli, trattori. Ognuno portato dai contadini di tutto l’Ontario fino a questo angolo di paese vicino alle cascate del Niagara per competere per il prestigioso titolo. Le competizioni variano da quella per la gallina più colorata, al coniglio con il pelo più magnificente. Dalla zucca più storta al pollo più ruspante. La foto che vedete è quella della carota vincitrice del titolo per la “carota più orribile”
Punto 5. La Cina
Fra meno di un mese mi reco a Pechino a far visita ai tre pionieri bolognesi M., Gerry, e Luca che da due mesi sono in missione in Cina per capire cosa bisogna fare per riportare la bandiera rossa sul balcone di Palazzo d’Accursio a Bologna. Perché Pechino? Perché è una delle tre città che mi sono promesso di visitare nella vita (le altre Dubai e Gerusalemme). Perchè sono esattamente dodici fusi orari, l’altra parte del mondo. Perché il biglietto aereo costava quanto farsi incapsulare un dente, e io non sono un modello di igiene orale. Perché dopo aver fatto 14 ore di viaggio per trovare degli amici, voglio vedere se hanno il coraggio di dimenticarsi di farti gli auguri per il tuo compleanno. Perché ha fine anno avrò percorso più di 70mila chilometri negli ultimi 12 mesi.

Punto 6. Università e affini.
Ho ricevuto i risultati dei miei esami tre settimane dopo averli sostenuti. Risultato positivo. Come ha detto Jason, è stato come ricevere l’esito dei test per qualche malattia tropicale 3 settimane dopo essersi recati in clinica. Ora in teoria ho chiuso un periodo della mia vita iniziato alla tenera età di 6 anni fatto di lezioni ed esami. Tempo di cominciare a dedicarsi alla ricerca. La crisi finanziaria che sembra aver raggiunto l’apice in queste settimane ha dato tutto un altro significato e un’altra rilevanza ai miei progetti e allo studio che voglio condurre. Magari tornerò a parlarne fra un po’. Oggi l’ufficio immigrazione mi ha concesso un permesso di lavoro che mi permetterà di lavorare come assistente di ricerca per un’economista di Waterloo, o, in alternativa, in qualsiasi McDonald del territorio canadese. Ma soprattutto è tempo di passare dall’altra parte della cattedra. Mi è stato assegnato l’insegnamento di un corso che inizierà nel prossimo trimestre. Oltre ad insegnarlo, devo anche stilare il programma e decidere cosa insegnare, che esami far fare, come assegnare i voti, etc… Sono completamente inadeguato per il ruolo, ma ho comunque accettato. Essendo una classe per studenti del quarto anno, le persone a cui in teoria dovrò insegnare in verità avranno quasi la mia età, al massimo un anno in meno. Mi farò crescere quel poco di barba che popola il mio viso, e lascerò che la calvizia e l’accento italiano facciano il resto per aumentare la mia autorevolezza.

Punto 7. Questa mattina il termometro segnava -3 gradi. Bentornato generale inverno. Il primo giorno in cui il cielo di coprirà di nuvole e il vento gelido soffierà da Nord, odierò questo luogo con tutte le mie forze. Ma non stamattina. Stamattina il sole accendeva i colori ovunque, mentre l’aria gelata pungeva il volto lungo il mio tragitto in bici verso l’università, quasi obbligandolo a sorridere.

lunedì, ottobre 13, 2008

Diario della crisi, Parte 8 – Non più solo gli Stati Uniti

Fino a settembre 2007, questa crisi è rimasta una crisi “americana”, con delle ramificazioni pericolose nei bilanci di alcune banche europee che avevano investito nel mercato immobiliare americano. Dal mese di settembre 2007, la crisi è diventata una crisi transatlantica. Diversi paesi europei sono dovuti intervenire a soccorso di istituti bancari nazionali in difficoltà attraverso prestiti d’emergenza, nazionalizzazioni, e garanzie sui depositi.
Dall’inizio di ottobre 2008, questa si è trasformata da una crisi trans-atlantica, a una crisi globale. La valanga di vendite nei mercati azionari americani ed europei hanno trascinato al ribasso i mercati azionari di ogni continente. Dopo Londra, Parigi e Milano, anche Tokyo, Singapore, Sidney, Hong Kong, Bombay, e Mosca hanno registrato perdite spesso nell’ordine del 10% in un singolo giorno. In ottobre 2007, il Fondo Monetario ha ripristinato una procedura d’emergenza creata durante la crisi finanziaria asiatica del 1997-98 per soccorrere paesi in difficoltà. Il Fondo aveva negli ultimi anni quasi cessato la sua attività di concedere fondi di emergenza a paesi in difficoltà finanziaria, visto che la maggior parte dei paesi in via di sviluppo avevano beneficiato della stabilità nei mercati internazionali e gli alti prezzi delle materie. Questa situazione di calma sui mercati internazionali è chiaramente giunta a termine, e cresce la possibilità che paesi in America Latina, Europa orientale o Asia orientale debbano ricorrere a prestiti di emergenza per proteggersi da una crisi che non hanno minimamente contribuito a creare. I rischi sono minori per quei paesi in Asia orientale e Medio Oriente che nell’ultimo decennio hanno accumulato centinaia di miliardi di dollari in valuta e titoli esteri per difendersi da possibili attacchi speculativi provenienti dai mercati finanziari. Ma queste montagne di dollari potrebbero rivelarsi una barriera Maginot, incapace di prevenire che la crisi si faccia sentire attraverso canali diversi, come il calo nella domanda per loro esportazioni determinata dalla recessione negli Stati Uniti e in altri paesi.
Nel contesto di questa crisi, la Cina è sembrata fino a questo punto un attore periferico. Per vari anni il sistema bancario cinese è stato additato come uno degli anelli deboli, e il possibile punto di origine di una nuova crisi finanziaria internazionale. Contrariamente a queste previsioni, fino a questo momento i 1800 miliardi di dollari in riserve monetarie possedute dalla Banca centrale cinese e la relativa semplicità delle banche cinesi, non esposte ad attività ad alto rischio come quelle americane, hanno costituito una barriera protettiva sufficiente contro il diffondersi della crisi finanziaria.
Ma la crisi coinvolge il paese molto più profondamente, fino a mettere in discussione la sua posizione nel panorama internazionale. Esiste infatti un paradosso tra il bisogno assoluto di denaro per ricapitalizzare gli istituti finanziari negli Stati Uniti e in Europa, e i 4000 miliardi di dollari che giacciono come riserva nelle banche centrali nell’Asia Orientale. Per questo sono in molti a vedere la Cina, assieme ad altri paesi asiatici, come la potenziale soluzione della crisi.
La decisione da parte del governo di accumulare titoli del tesoro americano negli ultimi anni è stata definita da Ken Rogoff, in passato chief economist del Fondo Monetario Internazionale, come “il più grande programma di aiuti economici nella storia”. Altri economisti come Arvind Subramanian del Peterson Institute for International Economics hanno suggerito che la Cina dovrebbe fare un passo in più, investendo parte delle proprie riserve monetarie per ricapitalizzare Wall Street. Secondo Subramanian, tre sono le motivazioni. Primo, perché come vari commentatori sostengono all’interno degli Stati Uniti, la Cina ha indirettamente favorito l’emergere della bolla speculativa, attraverso la svalutazione competitiva della propria valuta, che ha inondato di liquidità i mercati americani. Secondo, perché attenuando l’entità della recessione negli Stati Uniti, la Cina preverrebbe un drammatico calo nella domanda delle sue esportazioni, e agirebbe quindi nel proprio interesse. Terzo, perché in questo modo dimostrerebbe al mondo intero il suo status di superpotenza responsabile, capace di usare le proprie risorse economiche per proteggere l’economia. In altre parole, sigillerebbe il passaggio dal “secolo americano” al “secolo cinese” arrivando in soccorso dell’attuale potenza egemone in difficoltà.
Proposte come queste sono più una provocazione intellettuale che una reale possibilità. Il primo ad opporre l’ingresso massiccio cinese o di qualsiasi altro paese nel sistema bancario americano sarebbe lo stesso Congresso americano. Inoltre, già una volta dall’inizio della crisi, il governo cinese è intervenuto in soccorso di Wall Street. A dicembre 2007, la China Investment Corporation - lo strumento usato dal governo cinese per investire sui mercati esteri 200 miliardi di dollari delle proprie riserve monetarie – ha acquistato una quota pari al 10% della banca americana Morgan Stanley. Il successivo aggravarsi della crisi ha causato un crollo nelle azioni della banca che hanno perso il 90% del loro valore e ha reso l’investimento fallimentare dal punto di vista economico. Questo ha alimentato il risentimento a Pechino, che da allora non è più venuta in soccorso d’istituti finanziari americani.
Ma quello che rende improbabile il soccorso cinese o di qualsiasi altro paese asiatico non sono solo considerazioni di natura puramente economica, ma anche la profonda crisi di legittimità in cui l’attuale turbolenza nei mercati finanziari ha gettato il capitalismo americano. Da tutto il mondo si levano dichiarazioni di frustrazione nei confronti degli Stati Uniti per avere gettato altri paesi in una crisi che non hanno contribuito ad originare. Il presidente brasiliano Lula ha dichiarato, “non è giusto che siano paesi in America Latina, Africa, e Asia a pagare per l’irresponsabilità del sistema finanziario americano”. Pochi giorni dopo Putin ha dichiarato, “questa crisi non è il frutto dell’irresponsabilità di specifici individui ma dell’irresponsabilità dell’intero sistema che rivendicava la leadership internazionale”. Ma aldilà della retorica, è chiaro che questa crisi segna un punto di svolta nella struttura della finanza internazionale. Negli ultimi 15 anni, accademici, esperti di finanza e politici hanno esaltato il modello anglo-americano nei mercati finanziari come il più dinamico, innovatore, e in grado di creare le basi per un’economia in grado di competere nel ventunesimo secolo. La risposta del G7 e delle maggiori organizzazioni finanziarie internazionali alle crisi finanziarie generate in paesi in via di sviluppo nello scorso decennio è stata quella di promuovere l’adozione in questi paesi di standard e codici finanziari in aeree diverse come la supervisione e regolamentazione bancaria, contabilità, governance aziendale. Nonostante questi standard siano state presentati dal G7 come “best practices”, agli occhi dei politici nei paesi dell’Asia orientale questi sono sembrati un’eccessiva interferenza nelle loro economie, e il tentativo di Washington di rimodellare i sistemi finanziari asiatici a propria immagine e somiglianza. A partire dalla crisi che ha colpito Tailandia, Indonesia, Malesia, e Corea del Sud nel 1997-98, la reazione prevalente nella regione a è stata quella di rafforzare la propria autonomia, attraverso l’accumulazione di montagne di dollari come protezione contro future turbolenze nei mercati finanziari, o rafforzando la cooperazione a livello regionale. La proposta giapponese di creare un “Fondo Monetario Asiatico” nel 1997 fallì per l’opposizione congiunta di Washington e Pechino. Mentre gli Stati Uniti temevano che questa organizzazione potesse rappresentare una sfida al Fondo Monetario Internazionale e diminuisse l’influenza americana nella regione, la Cina vide l’iniziativa come un tentativo di Tokyo di rafforzare la propria leadership. Ma dal fallimento del Fondo Monetario Asiatico, nuove iniziative hanno rilanciato la cooperazione regionale. La Chiang Mai Initiative rappresenta una serie di accordi tra le banche centrali dei paesi che formano l’Asean+3, i quali hanno creato delle linee di credito per supportarsi reciprocamente nel caso una crisi finanziaria colpisse la regione. La crisi attuale ha visto il rafforzamento di questa iniziativa, ora in grado di mobilitare 80 miliardi di dollari, e a differenza di un decennio fa, la Cina ne è ora un’attiva sostenitrice. La dichiarazione d’indipendenza da Washington in campo finanziario lanciata nella regione è destinata a prendere vigore nei prossimi anni, sull’onda lunga della crisi di credibilità in cui sono cadute le politiche di liberalizzazione promosse dagli Stati Uniti in Asia.
Sono in molti a chiedere che questa crisi rappresenti l’occasione per un nuovo inizio nel sistema finanziario internazionale attraverso una nuova Bretton Woods. La conferenza di Bretton Woods nel 1944 gettò le basi per la ricostruzione del sistema monetario e finanziario internazionale dopo la seconda guerra mondiale e portò alla creazione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca mondiale. Secondo molti commentatori, queste basi vanno ora riviste, e il nuovo ordine deve riconoscere lo spostamento di potere economico internazionale da Occidente a Oriente avvenuto negli ultimi decenni.
Ma le prospettive perché questo accada sono minime. Due condizioni favorirono il successo della conferenza di Bretton Woods nel 1944. La prima fu la leadership degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. La seconda fu una visione comune condivisa dalle elite dell’epoca attorno alle basi sulle quali la finanza internale sarebbe dovuta essere ricostruita. Entrambe queste condizioni mancano in questo momento. La perdita di credibilità del modello anglo-sassone nell’organizzazione dei mercati finanziari rende improbabile che le maggiori potenze economiche continuino a supportare questa visione. Al contrario, è più probabile che l’Europa, la Cina, e altre potenze regionali prendano posizione in favore delle loro tradizioni economiche e ne riaffermino i benefici. Secondo, gli Stati Uniti difficilmente avranno la credibilità e il prestigio morale per esercitare la loro leadership nel campo finanziario. Peer Steinbruck, ministro delle finanze tedesco, ha dichiarato, “quando guarderemo indietro a tutto questo fra 10 anni, vedremo il 2008 come un momento di cambiamento radicale. Quando cioè gli Stati Uniti perderanno il loro ruolo di superpotenza finanziaria”. Al contrario, Pechino potrebbe uscire dalla crisi in una posizione rafforzata. Olivier Blanchard, chief economist del Fondo Monetario Internazionale, ha dichiarato: "I Paesi emergenti cresceranno del 6 per cento l'anno prossimo e ciò avrà implicazioni politiche. Il 100 per cento della crescita nel 2009 viene da loro. Ci sarà uno spostamento nel potere, la Cina emergerà da questi eventi in una posizione più forte".
Mentre le condizioni per una nuova Bretton Woods sono deboli, quello che è più probabile emerga dalla crisi è un sistema frammentato, in cui diversi modelli regionali coesistono e si scontrano, e in cui difficilmente gli Stati Uniti saranno in grado di esercitare la stessa leadership intellettuale ed economica che hanno esercitato negli ultimi decenni. Un sistema in cui Washington non sarà in grado di guidare il resto del mondo, e in cui il resto del mondo sarà restio a seguire. Nonostante questo scenario sia visto in modo favorevole da molti critici di Washington, uno sguardo al passato rievoca il ricordo degli anni ’30 e della disintegrazione dell’economia mondiale in vari blocchi regionali in competizione che seguì il crollo di Wall Street nel 1929.

sabato, ottobre 04, 2008

Diario della crisi, Parte 7 – 228 contro 205

Lunedì 29 Settembre. 228 voti contrari. 205 favorevoli. Il Congresso degli Stati Uniti ha negato l’approvazione del piano presentato dal Tesoro americano e dal suo segretario Hank Paulson. Nonostante il supporto alla proposta da parte di Bush, Obama, McCain, la maggior parte dei deputati ha ben capito che votare si a un piano così impopolare avrebbe minato la loro possibilità di essere rieletti nelle elezioni che si terranno fra poco più di un mese. L’opposizione non è stata puramente strategica, ma anche ideologica. Gresham Barrett, deputato Repubblicano eletto in South Carolina ha dichiarato all’uscita dell’aula: “La mia paura è che oggi il governo cambierà per sempre l’aspetto del libero mercato negli Stati Uniti. Poiché credo profondamente nei principi del libero mercato, e credo nella libertà, mi opporrò a questa legge”. Tra deputati che hanno pensato alla loro rielezione, e deputati che realmente credono nella pericolosità di un’iniziativa del genere, gli Stati Uniti hanno deciso che “vale la pena rischiare una Depressione”, come ha criticato Martin Wolf. La scelta della parola non è casuale. E’ un chiaro riferimento alla Grande Depressione che fu innescata dal crollo di Wall Street nel 1929. Anche in quel caso, il tentativo di proteggere gli interessi economici nazionali portò all’approvazione dello Smooth-Hawley Tariff Act, all’innalzamento delle barriere doganali su ventimila prodotti, e alla diffusione della depressione in tutti i continenti. Non che il parallelo storico regga. Ma esiste chiaramente una tensione. Quello che gli Stati Uniti e il Congresso reputeranno essere la soluzione ottimale per i propri cittadini, non lo sarà necessariamente per il resto del mondo.
Fino a pochi giorni fa ero sinceramente contento della crisi finanziaria. A un seminario che ho contribuito ad organizzare questo fine settimana proprio sul tema della crisi finanziaria attuale, un professore si è rivolto agli altri partecipanti dicendo: “Noi siamo quelli che beneficiano di più da tutto ciò. Abbiamo di fronte un esperimento naturale”. La metafora funziona. A differenza di fisici, chimici, o biologi, chi si occupa di scienze sociali non può permettersi il lusso di ricreare in laboratorio esperimenti per testare le proprie ipotesi. A volte la realtà involontariamente crea le condizioni. Per me questo è uno di quegli esperimenti naturali. E a differenza di quel professore, io non ho risparmi che stanno venendo depredati in borsa, ne’ sono proprietario di una casa che sta perdendo valore. Ma se fino a ieri, la crisi era per me una grande opportunità, e una curiosità intellettuale, da oggi comincio ad essere più preoccupato.
Tre sono i possibili scenari che mi fanno preoccupare. La prima è che la spirale peggiori all’interno di Wall Street, passando dalle banche ad altre istituzioni finanziarie. Il punto centrale per capire la fragilità del sistema è il ruolo che l’indebitamento (leverage) gioca nel sistema bancario. Le banche normalmente accettano depositi dai propri clienti, e prestano quei soldi ad aziende e persone che richiedono un prestito. Queste attività rappresentano solo una parte marginale dei profitti che Wall Street registra. Negli ultimi due decenni Wall Street è passata dal “accettare depositi e prestare soldi” a concentrarsi su un’insieme di attività diverse, come investire e speculare sui mercati in cerca di profitti, comprare mutui fatti alle famiglie da piccole banche locali e re-impacchettarli in mortgage-backed Securities e collateralized-debt obligations, prestare soldi a fondi di investimento speculativi, finanziare fusioni tra aziende. Ora, per finanziare queste attività, le istituzioni finanziarie sono diventate altamente indebitate, in molti casi più di venti volte la loro base di capitale. L’indebitamento è centrale a come questi istituti operano. L’indebitamento è la cocaina dei mercati finanziari. In parte questo è comune a ogni banca. Anche la cassa di risparmio all’angolo di casa vostra è indebitata. Ma indebitata nei vostri confronti, o nei confronti dei propri clienti che depositavano i loro soldi. Wall Street è invece altamente indebitata nei confronti dei mercati finanziari, prendendo a prestito soldi per periodi brevi, spesso dovendo ripagare dopo un mese, in certi casi prendendo prestiti “overnight”, da ripagare il giorno dopo. La crisi del credito attuale ha minato proprio la capacità delle banche di ri-finanziare il proprio debito raccogliendo nuovi capitali sui mercati. Questi capitali non esistono più, togliendo ossigeno alle banche. Inoltre, una serie di istituti finanziari che quotidianamente prendono in prestito soldi dai mercati (tipo hedge funds) cominciano a soffrire della stessa mancanza di ossigeno. Man mano che la liquidità diventa merce rara sui mercati, diventa sempre più difficile che tutti questi istituti possano continuare ad operare.

Il secondo scenario che mi preoccupa è la possibilità che la crisi si espanda fino a causare la caduta di istituti finanziari in Europa. Da ieri mattina, questa non è una possibilità, ma una realtà. In Inghilterra, il governo ha nazionalizzato una banca chiamata Bradford & Bingley. In Germania, la banca centrale salvato un'altra banca chiamata Hypo Real Estate attraverso un prestito d’emergenza. Belgio, Olanda e Lussemburgo hanno unito le forze per salvare Fortis. In tutta Europa, le banche maggiori hanno registrato significanti perdite in borsa, concentrate non a sorpresa in quegli istituti finanziari che fanno maggiore affidamento giorno per giorno sui mercati finanziari per raccogliere il credito che permette loro di andare avanti.
L’Unione Europea, Francia e Germania hanno abbandonato la posizione distaccata e passiva tenuta per più di un anno, e hanno cominciato ad alzare la voce. Ma è un ruggito destinato ad impressionare più il proprio elettorato che ad influenzare veramente gli Stati Uniti. L’Unione Europea ha sottolineato come si trovi vittima di una crisi che non ha contribuito ad originale, visto che l’origine della crisi è totalmente interna agli Stati Uniti. Un portavoce della Commissione ha dichiarato che “la Commissione si aspetta che le autorità statunitensi vadano avanti presto con le decisioni che erano state prese e si assumano così le loro responsabilità”. Peer Steinbruck, ministro delle finanze tedesco, ha rilasciato una dichiarazione che ha fatto molto clamore, quando ha detto: “quando guarderemo indietro a tutto questo fra 10 anni, vedremo il 2008 come un momento di cambiamento radicale. Quando cioè gli Stati Uniti perderanno il loro ruolo di superpotenza finanziaria”. Negli ultimi 15 anni, accademici, esperti di finanza e politici hanno esaltato il modello anglo-americano nei mercati finanziari come più dinamico, innovatore, e maggiormente in grado di creare le basi per un’economia in grado di competere nel ventunesimo secolo. In molti sono ora già passati a tessere le lodi del “modello europeo” dei mercati finanziari. Ma dietro le dichiarazioni che vengono da Bruxelles vi è un palazzo che scricchiola in quanto non è mai stato finito di costruire. L’integrazione monetaria e la creazione dell’Euro ha portato la maggior parte dei membri dell’Unione Europea a delegare la responsabilità sul controllo della propria moneta a un organismo sovranazionale. Ma nessuna soluzione simile è emersa per contenere crisi finanziarie. La Banca Centrale Europea non ha alcun potere di salvare una banca europea sull’orlo del fallimento, come può invece fare la Federal Reserve americana. Non esistono normative o istituzioni che permettano di gestire queste situazioni d’emergenza. Molti in Europa guardono alle loro banche indebolite dalla crisi e si chiedono cosa succederebbe se una di queste cadesse.
Nel caso una banca europea che opera in più paesi entrasse in difficoltà, ogni risposta d’emergenza dovrebbe essere coordinata al momento tra governi nazionali. Il problema è che certe banche in Europa hanno raggiunto una dimensione tale da offuscare le risorse a disposizione degli stati in cui hanno sede. Le dimensioni di Fortis oscurano la ricchezza prodotta in un anno dal Belgio intero. La stessa cosa vale per molte banche islandesi e svizzere. HSBC è un gigante di tali dimensioni da oscurare la ricchezza prodotta ogni anno dal paese in cui a siede: la Gran Bretagna.
La diplomazia in Europa si comincia a muovere per prevenire l’impensabile. L’Olanda e Francia hanno proposto la creazione di un fondo di 300 miliardi di euro da usare nel caso una grande banca europea entrasse in difficoltà. La proposta è stata affossata dall’opposizione della Germania. Nel frattempo il governo irlandese ha unilateralmente offerto una garanzia totale su tutti i depositi in banche irlandesi, provocando una fuga di capitali dalle banche inglesi che non godono di questa protezione totale da parte del governo. Questi due eventi mostrano un paio di paradossi. Primo, coordinare una risposta tra 27 membri dell’UE potrebbe essere troppo difficile e lento per fronteggiare un’emergenza. Allo stesso tempo gli stati europei non possono permettersi di agire unilateralmente in quanto questo costituirebbe una minaccia alle regole base del mercato unico. Neelie Kroes, commissario europeo alla concorrenza, ha commentato avanzando un parallelo con gli anni ’30. “Quando l’Europa si trovò di fronte a una crisi bancaria negli anni ’30, i governi decisero di agire autonomamente, di ritirarsi dai mercati europei, e di chiudersi dietro i loro confini. … Il Protezionismo non era la soluzione in quel momento. Non facciamo lo stesso errore una seconda volta”.
MA questo mostra un secondo paradosso. Agire in modo preventivo per evitare il collasso di un gruppo bancario è politicamente difficile perché nessuno può permettersi di firmare un assegno di varie centinaia di miliardi in modo “preventivo”. Farlo dopo il collasso della banca è inutile. I limiti della politica impongono che ogni soluzione sarà disegnata al momento, quando il terreno sta per franando, e nessuna direttiva europea o legge nazionale è così importante da non poter essere sacrificata.

Il terzo aspetto della crisi che mi lascia preoccupato è il fatto che ormai i suoi effetti sull’economia reale sono una certezza. General Electrics è stata per decenni considerata una garanzia, ma pochi giorni fa ha dovuto finanziarsi, cercando nei mercati finanziari quindici miliardi di dollari in modo da allontanare lo scetticismo sul suo stato di salute finanziaria. Il credito scarseggia, e la mancanza di ossigeno comincia arrivare anche alle aziende. Molti indicatori economici mostrano che l’economia americana e quella europea hanno rallentato.
Nel frattempo, io me ne sto al sicuro, protetto da 4000 km di confine canadese. Durante la Depressione degli anni ’30, negli Stati Uniti fallirono 11.000 banche. In Canada, il numerò fu zero.


Venerdì 3 Ottobre. La camera dei deputati americana ha approvato il decreto che autorizza l'utilizzo di 700 miliardi di soldi dei cittadini per comprare titoli tossici dai libri contabili delle banche. Nel frattempo il testo di 3 pagine si è gonfiato fino a 400 pagine. I 700 miliardi sono diventati 850, data l'aggiunta di sgravi fiscali e nuove spese. Tra i vari articoli aggiunti per ottenere il supporto dei vari senatori e deputati riluttanti vi è l'introduzione di sgravi fiscali per le ditte che producono freccie giocattolo per bambini e un cambio nella normativa sulle assicurazioni sanitarie nel caso delle malattie mentali. Non penso sia una coincidenza. E nonostate il piano sia passato, le possibilità che abbia successo mi sembrano ora estremamente ridotte.