Occorre che tutto cambi affinchè tutto rimanga uguale
Avevo provato negli ultimi mesi a staccarmi. Provare un po’ a distaccarmi dalle passioni, l’apateia dei filosofi greci. Avevo provato a fottermene un po’. Leggere la Gazzetta dello Sport prima del Corriere, aprire meno volte al giorno il sito di Repubblica, e comunque saltare subito ai calendari. Vivo all’estero da due anni, e “cosa è successo a Montecitorio oggi?” non poteva continuare ad essere uno dei miei primi pensieri ogni giorno. E in parte ci stavo riuscendo.
Poi è successo quello che tutti sappiamo. Nonostante mancassero poche ore al termine ultimo per la consegna di un saggio, non sono riuscito a staccarmi dalla diretta del dibattito al Senato. Ero incapace di intendere e di volere. Ma soprattutto incapace di capire. Umiliato. Al mio ritorno al computer poche ore dopo la votazione in cui Prodi veniva sfiduciato, sono stato sommerso dai messaggi simultanei di 4 amici. E ho scoperto che non ero l’unico incapace di reagire. E non ero l’unico profondamente umiliato. Perché questo? Possiamo avere opinioni radicalmente diverse su Prodi e l’operato del suo governo, ma non ho dubbi che quello che è successo pochi giorni fa sia stato un fallimento. Un fallimento di uomini politici che abbiamo eletto noi. Il fallimento di un sistema politico. E in ultimo, un falimento nostro. Ogni nazione ha i rappresentanti che si merita. Non voglio essere qualunquista. Ma mi ricordo che il mio approccio con la politica, come passione, era sorto alla metà degli anni ’90, parallelamente all’ascesa di Berlusoni, quando sembrava inconcepibile che una nazione. La scelta di fare della politica l’oggetto dei miei studi, invece seguì la seconda volta che Berlusconi fu eletto, nel 2001. Sono seguiti 5 anni umilianti, penso 5 anni di degrado civile, dove le conversazioni principali tra i corridoi di Via Berti Pichat a Bologna erano stati dirottati la maggior parte delle volte da quella figura. Mi sentivo quasi privato del diritto di vivere in un paese normale. 5 anni lunghi, finiti con le elezioni del 2006. Ero a Bruxelles, ed ero tornato in Italia a votare, o a “salvare la patria” come mi piaceva dire per scherzo. Ma mi ricordo che quando in Piazza Verdi a Bologna uscirono le prime proiezioni, che mostravano come la maggioranza degli italiani non aveva minimamente provato a reagire a quell’umiliazione collettiva che erano stati i 5 anni precedenti, in quel momento la delusione era stata acuta. Avevo scritto su questo blog il 28 Aprile 2006: “Lunedi' 10 aprile. Piazza Verdi a Bologna. Erano le 15e30. Da poco l'altoparlante nella piazza trasmetteva i primi esultanti exit-poll delle elezioni. Vittoria. Vittoria netta. Berlusconi a casa, fine di 5 anni da incubo. Festeggiamo! Marta, perche' non sorridi? Non lo so. Non lo so nemmeno io. Qualcosa non andava…
Marta, perche' non stiamo festeggiando anche noi?
Marta, non stiamo festeggiando perche' questo paese non cambia. Perche' siamo ancora tutti attaccati alla televisione ad aspettare la prossima dichiarazione di Berlusconi, per criticarla o difenderla. Perche' in 5 anni che abbiamo fatto cosi', indignandoci e sentendoci sempre piu' umiliati, il paese era fermo... il vaccino non funziona perche' il corpo non si trova poi cosi' male ad essere malato. Perche' la classe politica e' mediocre, e la mediocrita' e' diffusa. Perche' il centro-sinistra, anche se riuscira' a governare, non riuscira' a muoversi dallo status quo... perche' non ne ha ne la capacita' ne le idee. Come scrive Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo "occorre che tutto cambi, affinche' tutto rimanga uguale"
Rileggere quelle parole non fa che acuire il disappunto. Rivoglio il mio diritto a vivere in un paese normale, che dia delle prospettive alle generazioni future. Il governo appena caduto non ci è riuscito. Abbiamo trascorso due anni in cui in fondo non si è vissuto male, quantomeno si andava a letto senza il timore che al nostro risveglio scoprissimo che il presidente del consiglio aveva innescato una crisi diplomatica con la Cina. E’ stato un governo sicuramente più noioso del precedente, ma il gusto della “normalità dopo 5 anni di Berlusconi è stato impagabile. Però, con il passare dei mesi, è diventato chiaro a tutto che non aveva le idee e le capacità di rinnovare il paese, renderlo più aperto al futuro, meritocratico, sbarazzarsi dei particolarismi. 2 anni in balia dei vezzi di Mastella, duca di Ceppaloni. 2 anni timorosi che ogni mossa o dichiarazione provocasse il disappunto della Cei. 2 anni timorosi di provocare reazioni nei sindacati. 2 anni in cui ogni cambiamento avrebbe rischiato di far cadere quel fragile castello di carte, con pochissime prospettive, ma allo stesso tempo importante perché era tutto quello che eravamo riusciti a partorire in 5 anni di umiliazione sotto il governo berlusconi. Ma anche questi 2 anni sono stati a modo loro 2 anni di umiliazione, perché una volta che ci eravamo tolti la scusa che “è colpa di Berlusconi”, era sotto i nostri occhi che anche la sinistra era egualmente incapace di dare prospettive di cambiamento. "Occorre che tutto cambi, affinche' tutto rimanga uguale". Sono cambiate tante cose in questi anni. Ma fra pochi mesi ci ritroveremo con un governo nuovo, il cui presidente del Consiglio sarà Silvio Berlusconi, in cui Mastella avrà un ministero, e in cui troppe cose sembreranno terribilmente una foto del 1994. "Occorre che tutto cambi, affinche' tutto rimanga uguale". Passeremo i prossimi mesi ancora pensare che “quando non ci sarà più Berlusconi, allora le cose cambieranno” (per fortuna l’età gioca a nostro favore, non può andare avanti per 20 anni). Ce lo siamo detti per 5 anni. Continueremo a dircelo. In fondo è un modo per sentirsi meglio.