sabato, gennaio 26, 2008

Occorre che tutto cambi affinchè tutto rimanga uguale

Avevo provato negli ultimi mesi a staccarmi. Provare un po’ a distaccarmi dalle passioni, l’apateia dei filosofi greci. Avevo provato a fottermene un po’. Leggere la Gazzetta dello Sport prima del Corriere, aprire meno volte al giorno il sito di Repubblica, e comunque saltare subito ai calendari. Vivo all’estero da due anni, e “cosa è successo a Montecitorio oggi?” non poteva continuare ad essere uno dei miei primi pensieri ogni giorno. E in parte ci stavo riuscendo.
Poi è successo quello che tutti sappiamo. Nonostante mancassero poche ore al termine ultimo per la consegna di un saggio, non sono riuscito a staccarmi dalla diretta del dibattito al Senato. Ero incapace di intendere e di volere. Ma soprattutto incapace di capire. Umiliato. Al mio ritorno al computer poche ore dopo la votazione in cui Prodi veniva sfiduciato, sono stato sommerso dai messaggi simultanei di 4 amici. E ho scoperto che non ero l’unico incapace di reagire. E non ero l’unico profondamente umiliato. Perché questo? Possiamo avere opinioni radicalmente diverse su Prodi e l’operato del suo governo, ma non ho dubbi che quello che è successo pochi giorni fa sia stato un fallimento. Un fallimento di uomini politici che abbiamo eletto noi. Il fallimento di un sistema politico. E in ultimo, un falimento nostro. Ogni nazione ha i rappresentanti che si merita. Non voglio essere qualunquista. Ma mi ricordo che il mio approccio con la politica, come passione, era sorto alla metà degli anni ’90, parallelamente all’ascesa di Berlusoni, quando sembrava inconcepibile che una nazione. La scelta di fare della politica l’oggetto dei miei studi, invece seguì la seconda volta che Berlusconi fu eletto, nel 2001. Sono seguiti 5 anni umilianti, penso 5 anni di degrado civile, dove le conversazioni principali tra i corridoi di Via Berti Pichat a Bologna erano stati dirottati la maggior parte delle volte da quella figura. Mi sentivo quasi privato del diritto di vivere in un paese normale. 5 anni lunghi, finiti con le elezioni del 2006. Ero a Bruxelles, ed ero tornato in Italia a votare, o a “salvare la patria” come mi piaceva dire per scherzo. Ma mi ricordo che quando in Piazza Verdi a Bologna uscirono le prime proiezioni, che mostravano come la maggioranza degli italiani non aveva minimamente provato a reagire a quell’umiliazione collettiva che erano stati i 5 anni precedenti, in quel momento la delusione era stata acuta. Avevo scritto su questo blog il 28 Aprile 2006: “Lunedi' 10 aprile. Piazza Verdi a Bologna. Erano le 15e30. Da poco l'altoparlante nella piazza trasmetteva i primi esultanti exit-poll delle elezioni. Vittoria. Vittoria netta. Berlusconi a casa, fine di 5 anni da incubo. Festeggiamo! Marta, perche' non sorridi? Non lo so. Non lo so nemmeno io. Qualcosa non andava…
Marta, perche' non stiamo festeggiando anche noi?
Marta, non stiamo festeggiando perche' questo paese non cambia. Perche' siamo ancora tutti attaccati alla televisione ad aspettare la prossima dichiarazione di Berlusconi, per criticarla o difenderla. Perche' in 5 anni che abbiamo fatto cosi', indignandoci e sentendoci sempre piu' umiliati, il paese era fermo... il vaccino non funziona perche' il corpo non si trova poi cosi' male ad essere malato. Perche' la classe politica e' mediocre, e la mediocrita' e' diffusa. Perche' il centro-sinistra, anche se riuscira' a governare, non riuscira' a muoversi dallo status quo... perche' non ne ha ne la capacita' ne le idee. Come scrive Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo "occorre che tutto cambi, affinche' tutto rimanga uguale"

Rileggere quelle parole non fa che acuire il disappunto. Rivoglio il mio diritto a vivere in un paese normale, che dia delle prospettive alle generazioni future. Il governo appena caduto non ci è riuscito. Abbiamo trascorso due anni in cui in fondo non si è vissuto male, quantomeno si andava a letto senza il timore che al nostro risveglio scoprissimo che il presidente del consiglio aveva innescato una crisi diplomatica con la Cina. E’ stato un governo sicuramente più noioso del precedente, ma il gusto della “normalità dopo 5 anni di Berlusconi è stato impagabile. Però, con il passare dei mesi, è diventato chiaro a tutto che non aveva le idee e le capacità di rinnovare il paese, renderlo più aperto al futuro, meritocratico, sbarazzarsi dei particolarismi. 2 anni in balia dei vezzi di Mastella, duca di Ceppaloni. 2 anni timorosi che ogni mossa o dichiarazione provocasse il disappunto della Cei. 2 anni timorosi di provocare reazioni nei sindacati. 2 anni in cui ogni cambiamento avrebbe rischiato di far cadere quel fragile castello di carte, con pochissime prospettive, ma allo stesso tempo importante perché era tutto quello che eravamo riusciti a partorire in 5 anni di umiliazione sotto il governo berlusconi. Ma anche questi 2 anni sono stati a modo loro 2 anni di umiliazione, perché una volta che ci eravamo tolti la scusa che “è colpa di Berlusconi”, era sotto i nostri occhi che anche la sinistra era egualmente incapace di dare prospettive di cambiamento. "Occorre che tutto cambi, affinche' tutto rimanga uguale". Sono cambiate tante cose in questi anni. Ma fra pochi mesi ci ritroveremo con un governo nuovo, il cui presidente del Consiglio sarà Silvio Berlusconi, in cui Mastella avrà un ministero, e in cui troppe cose sembreranno terribilmente una foto del 1994. "Occorre che tutto cambi, affinche' tutto rimanga uguale". Passeremo i prossimi mesi ancora pensare che “quando non ci sarà più Berlusconi, allora le cose cambieranno” (per fortuna l’età gioca a nostro favore, non può andare avanti per 20 anni). Ce lo siamo detti per 5 anni. Continueremo a dircelo. In fondo è un modo per sentirsi meglio.

Vita d'ufficio

Sono tornato in Canada da 20 giorni. 20 giorni e il mese passato in Italia, sembra già lontano. Posso dire con una certa soddisfazione che comincio a sentirmi un po’ a casa qui. La mia casa è un ufficio, condiviso con altri 5 compagni, un nuovo ufficio luminoso, CON finestre, in cui ogni giorno si incrociano le avventure di 5-10 amici, compagni di studio. In cui ogni giorno, Mike, un ragazzo di 33 anni con la faccia di Ricky Cunningham (Happy Days) e lo spirito di un 14 enne arriva vicino alla mia scrivania, si siede sulla divano già predisposto per lui, guarda me e Jason e dice una frase che già tutti ci aspettiamo: “Ragazzi, ho una nuova idea!”. L’ora successiva passa a tentare di riportarlo sulla terra. Da questo ufficio passano professori, amici in cerca di qualcuno che divida un pranzo con loro, cui si guardano le partite dei Toronto Raptors con telecronaca in cinese, qui l’altra notte con 3 amici abbiamo stappato una ottima bottiglia di vino bianco all’una di notte, pochi minuti il termine ultimo per consegnare un saggio, che chiaramente è stato consegnato in ritardo. Da cui si può guardare la neve che cade incessante al di fuori della finestra. Le temperature ora sono costantemente sotto lo zero, meno dieci normalmente, a volte meno quindi. E’ incredibile come la neve cambi la percezione dello spazio che abbiamo. Tutto è bianco. E tutto sembra sospeso nel tempo. Senza contrasti, quasi come in una sorta di cartolina di inizio secolo. La neve uccide i contrasti e gli spigoli, e rende tutto più monotono e noioso. Ma nelle mattinate i cui si spalanca il sole, la luce viene riflessa ovunque, quasi come nel mezzo di un ghiacciaio alpino a mezzogiorno. Gli occhi fanno quasi male, ma è un bel dolore, che ti spinge a dire: “niente autobus stamattina. Godiamoci la passeggiata”. E chissenefrega se la passeggiata è a -15.

La settimana prossima sarò tre giorni a Ottawa per prendere parte a una simulazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio a cui partecipano team da tutte le università canadesi. Se lo studio me lo permette, trascorrerò un giorno anche a Montreal. In ogni caso, scriverò un post sull’argomento.

Soundtrack: Josè Gonzalez – In Our Nature (specialmente una canzone meravigliosa il cui titolo è
Cycling Trivialities. La trovate su YouTube qui: http://www.youtube.com/watch?v=fvxrMBYPGxk)

mercoledì, gennaio 09, 2008

Parma-Londra-Toronto - Atto Secondo








L’ultimo post l’avevo scritto un mese fa, a 1700 miglia da ogni cosa. Questo lo scrivo nella sala d’aspetto dell’aeroporto di Parma, quello scatolone di lamiera costeggiato da ferrovie e tangenziali, a 10 metri dalla vita dell’ultimo mese. Non voglio riassumere cosa è successo in questi trenta giorni, in quanto chi legge ancora queste pagine è stato per lo più diretto protagonista. Lascio che siano alcune foto a descrivere 30 giorni passati prima a Fidenza, tra studio, parenti, cibo, amici, ma soprattutto studio. Poi Londra. Per chiudere il capitolo dell’LSE, e fare una bellissima festa in una discoteca di Covent Garden in cui tutti i miei ex-compagni che ora vengono lautamente pagati dalle loro aziende mi dicevano “sei ancora uno studente. Questa birra te la pago io”. Poi Bologna, due volte e una bella cena, con annessa vittoria a Trivial, a ricordare al mondo che sono ancora il re del nozionismo gratuito (Chi era la leader delle Supremes? Diana Ross chiaramente. Cosa vi insegnavano a scuola? Ignoranti). Genova, di cui ricordo un bicchiere di porto e una chiacchierata in un locale bellissimo nei vicoli. Villa Paolina a Lugano, la Fondu Chinoise e un capodanno in discoteca di cui, per decenza, tralascio ogni tipo di dettaglio. E ora ancora Londra, dove stasera sarò a cena con una amica che ho voglia di rivedere. Ha avuto l’accortezza di scegliere un ristorante più consono alla mia borsa di studio che alla suo stipendio di “Goldman Sachs” Lady. Il mio conto in banca la ringrazia di cuore. A chi c’era in questi posti dico grazie. E’ stato un bellissimo ritorno a casa. Di quelli che ti invogliano a tornare ancor, ma allo stesso tempo ti fanno ripartire senza troppi rimpianti perché sai che il prossimo ritorno sarà ugualmente significativo. A chi non ho avuto moto di salutare, chiedo scusa. E’ stato un ritorno a casa che mi ha chiarito cosa sia per me “casa”. “Casa” ora è ogni luogo dove abbiamo bisogno di tornare. Cito la mail di un’amica “casa sono i ricordi, casa è il non fare fatica, casa è parlare la propria lingua....casa sono anche io”. Casa è Fidenza. Ma anche Bologna e Genova. Londra, forse. Casa è il luogo dove si è comodi, dove non bisogna lottare. E’ il luogo dei caffè prima di cena, e dei bicchieri di vino rosso dopo cena. Ma ultimamente è anche il luogo da cui bisogna ripartire per non fare un torto a se stessi e alla propria inquietudine che ci spinge a cambiare, anche se questo finisce per ferire le persone che preferirebbero non ripartissimo (nel mio caso, i miei genitori). Sono consapevole di questo, e per questo l’attesa del volo non è amara.
Domanimattina di nuovo a vedere “che effetto che fa” vedere l’oceano che non finisce mai, fino alle coste della Nova Scotia e la penisola di Labrador. Ho viaggiato tanto negli ultimi due anni, ma questa è la prima volta che parto con solo un biglietto di andata. Non sono mai andato nemmeno a Bologna in treno senza aver comprato in precedenza anche il biglietto di ritorno. E temevo di scoprire “l’effetto che fa” sapere che il ritorno è una scelta, non un obbligo. E ogni ritorno sarà in verità un’andata, a con in tasca un nuovo ritorno in Canada. Ok, ora sto facendo confusione con le parole. Giochi di parole che celano una sottile differenza sostanziale. Non so di preciso quando tornerò in Italia. Sicuramente a fine luglio. Se soldi e impegni universitari lo permetteranno, farò un salto anche prima. Un salto che la mia banca non gradirà, ma la distraggo separando i miei debiti in tre conti correnti diversi, denominati in valute differenti, in tre diverse nazioni. Due sono in rosso, l’altro tendente al pareggio di bilancio. Al mio confronto, un mutuo subprime è oro colante per le banche.
Al mio ritorno in Canada mi attende una piacevolissima sorpresa: una temperatura compresa tra i 9 e 13 gradi. Sopra lo zero. Considerato che pochi giorni fa i termometri segnavano -15° C, non mi lamento. Il lato negativo è che Waterloo assomiglierà tremendamente a Comacchio. Una palude di neve sciolta ma senza le anguille. Non so di preciso se la finestra di camera mia sarà completamente ostruita o semi ostruita. So però con sicurezza che non avrò la voglia di uscire a spalare la neve che mi priverà di luce naturale nei prossimi 2-3 mesi.