martedì, ottobre 24, 2006

Il tintinnio familiare del meccanismo rotto

Ho trovato su internet una poesia che mi è piaciuta molto. L'autore si chiama Valerio Magrelli, ma sinceramente non lo conosco. Però penso meriti 30 secondi della vostra attenzione.

Amo i gesti imprecisi,
uno che inciampa, l’altro
che fa urtare il bicchiere,
quello che non ricorda,
chi è distratto, la sentinella
che non sa arrestare il battito
breve delle palpebre,
mi stanno a cuore
perché vedo in loro il tremore,
il tintinnio familiare
del meccanismo rotto.
L’oggetto intatto tace, non ha voce
ma solo movimento. Qui invece
ha ceduto il congegno,
il gioco delle parti,
un pezzo si separa,
si annuncia.
Dentro qualcosa balla.

lunedì, ottobre 23, 2006

Il "paziente" libraio "inglese"

Lunedì mattina. Inizia un'altra settimana. Ritorno dopo una settimana di silenzio, in cui ho combinato poco e il morale è stato altalenante a seconda di come procedeva la stesura di un saggio che devo consegnare fra pochi giorni. Questa notte ero ispirato, e l'ho finito verso le 2e30. Adesso posso tornare a scrivere sul blog per raccontare il mio fantastico week-end da libraio inglese.
O meglio, non ero un libraio. Non si fa carriera così velocemente. Precisamente ero uno "steward" a un "publisher stand" a una conferenza che si è tenuta nel mio dipartimento. Avevo infatti risposto a una mail fatta circolare dal dipartimento: il mio curriculum non mi aprirà molte prospettive di lavoro, ma con il mercato dei libri ho successo. Mi sono trovato sabato mattina alle 8 a sedere di fronte a un tavolo in cui erano esposti non più di 15 libri. Compito: nessuno. O magari vigilare che non venissero rubati, rischio non proprio pressante a una conferenza di accademici dove per entrare bisogna pagare 100 euro. Di conseguenza ho estratto dal mio zaino il MAC (ora perfettamente funzionante e fonte di immensa ispirazione e soddisfazione) e per due giorni ho studiato, pagato. Ma i benefit non finiscono qui. Sabato sera abbiamo avuto accesso al ricevimento della conferenza, in un bar di Kingsway, dove assieme a Katie (Chicago), 2 ragazzi di Taiwan, 1 ragazza Slovena, e 1 altro steward di Trinidad & tobago, ci siamo alcolizzati di vino rosso australiano. Serata proseguita nel più economico ristorante cinese di Chinatown (9 euro, 3 portate, I taiwanesi hanno detto che era buono), e poi in un localino di Soho (non uno strip-club però).
L'altro immenso benefit del lavoro è che alla fine della seconda giornata di conferenza, avrei potuto assistere all'intervento di chiusura, tenuto da Robert Cox, studioso canadese, guru gli accademici un po' di sinistra, padre della scuola "neo-gramsciana di relazioni internazionali", e soprattutto la mia tesi di laurea a Bologna era in larga parte un taglia e incolla di suoi lavori. Dopo aver smontato il mio stand e riposto i libri negli scatoloni, domenica pomeriggio mi sono seduto nell'ultima fila dell'auditorium, quasi quasi un po' emozionato. Poi Cox ha iniziato il discorso. Sarà stata la serata a Soho, sarà stata la mia ingordigia nell'avventarmi nel buffet gratuito poche ore prima, sarà soprattutto che Cox aveva una voce così piatta che la Pianura padana a confronto è un catena montuosa hymalaiana, ma al 45° minuto di discorso mi sono addormentato. Un sonno meraviglioso. Gli applausi entusiasti della platea mi hanno svegliato 20 minuti dopo. Naturalmente mi sono aggiunto agli applausi, e ci mancava ancora un poco che mi alzassi in piedi e lanciassi la standing-ovation.

P.S. a metà della mattinata c'è stato un episodio inquietante. Il silenzio della sala è stato interrotto da delle grida che venivano dall'esterno dell'edificio. Un uomo gridava frasi come "pensate ai poveri, pensate alla fame. Cosa fate voi che studiate Relazioni Internazionali per loro?". Questo era un uomo che aveva tentato di entrare alla conferenza senza pagare la quota di iscrizione ed era quindi stato respinto. Dall'esterno si era quindi messo a gridare, con un tono disperato, contro la mancanza di attenzione degli accademici e delle persone che all'interno della sala parlavano di temi come "post-strutturalismo nella teoria delle relazioni internazionali", o "materialismo storico", nei confronti delle vere tragedie del mondo. gridava con un tono da predicatore. E mentre gridava piangeva. Era metà santone, metà clochard. E' rimasto sotto la pioggia di Londra, gridando e piangendo per decine di minuti. Io, nel mio formalismo e simil-bigottismo pensavo che una persona in quello stato non sarebbe dovuta lasciare entrare in una conferenza. Ma il suo punto era vero e valido. E gli altri ragazzi che lavoravano come steward, principalmente PhD students, hanno accusato gli organizzatori dicendo: "questa dovrebbe essere una università in cui si discute liberamente. Perchè lasciarlo fuori?". Mi ha fatto piacere sentire loro dire questo.

lunedì, ottobre 16, 2006

La parabola del Figliol Prodigo


Finalmente, dopo 20 giorni di cure e sofferenze, il mio figlio dannato e benedetto, cioe' il mio portatile, e' tornato all'ovile. E cosa ancora piu' inaspettata, sembra funzionare.
Costo della riparazione: 1200 euro. Per fortuna coperti dalla garanzia.
Per festeggiare la nuova armonia ritrovata con la "casa della Mela", come nella parabola del Vangelo, non ho ordinato alla servitu' di ammazzare il vitello grasso, ma mi sono recato all'Apple Centre di Regent Street, cioe' il paradiso degli Apple, un megastore di due piani in centro a Londra.
E per di piu' ho premiato il figliol prodigo ritornato all'ovile con una aggiunta di Ram. Adesso vado in negozio a riprenderlo dopo l'intervento. E' un po' come quei mariti, che dopo aver scoperto che la moglie fa loro le corna con l'idraulico, fanno pace e per riconquistare la propria compagna, le regalano un paio di tette nuove di silicone.

venerdì, ottobre 13, 2006

Discorso alla nazione

Ieri sera vi è finalmente stata alla LSE l'attesissima lezione di Giorgio Napolitano, nonno d'Italia, nonchè Presidente della Repubblica. Comunità italiana e italiota di Londra tutta presente. Numerosi diplomatici, Vari banchieri (seduto a me vi era un tipo che mi ha supito affibiato il suo biglietto da visita, in quanto ex-alunno della LSE nel 73, e ora assicuratore per i Lloyds di Londra). Qualche giornalista di spicco (la rossa del TG2, moglie di Luca Giurato, MArcello Sorgi, il quirinalista del TG1). Insomma non un bel clima. Però l'Italia ha preso possesso della LSE per un giorno.
Sul discorso di Napolitano poco da dire. I soliti discorsi sull'importanza dell'Europa nel garantire la pace e la giustizia nel mondo. Un presidente non può dire altro e non lo biasimo. Ma divertentissimo era il suo inglese. Leggeva il discorso da un quadernetto, in cui forse le parole erano state scritte secondo la pronucia (tipo "ai em very eppi tu bi ir). La pronucia era buona, però leggeva senza ritmo, come se non capisse nulla di quello che diceva (cosa probabilmente non vera, visto che ha un passato internazionale abbastanza lungo, ed è stato Parlamentare europeo).
Dopo il discorso, durato 45 minuti, si è tenuto un ricevimento privato, nel piano nobile della LSE. Naturalmente il mio biglietto scalcinato da studente non mi garantiva l'accesso.

Da segnalare però che il giorno dopo, cioè oggi, nello stesso salone si è tenuto il party di ricevimento che la LSE ha offerto agli studenti del Dipartimento di Relazioni internazionali (il mio). Ora capisco dove vanno le tasse d'iscrizione che ho pagato. In vino. Per me, e per Napolitano. Alla fine, vi erano un centinaio di studenti e professori, completamente ubriachi di pessimo vino rosso LSE (non scherzo, sull'etichetta c'era il marchio dell'università), a gettarsi sulle ultime tartine rimaste sui tavoli. Momenti indimenticabili!
Effettivamente sono ancora un po' brillo.

P.S. la cosa che mi ha emozionato del discorso di Napolitano è stato però quando all'inizio ha ricordato della sua amicizia con Piero Sraffa. Ora, immagino nessuno conosca Piero Sraffa. In effetti non lo conscevo neanch'io fino a quest'estate, ma la sua biografia mi ha emozionato. Economista, marxista, anti-fascista, torinese. Ma soprattutto una persona che ha lasciato un segno in tre delle più belle menti del XX secolo: Keynes, Wittgestein e Antonio Gramsci. Quelle persone che rimangono sullo sfondo. Che non abbagliano, ma fanno tanta luce. Non mi dilungo, perchè aggiungerei ulteriore noia a quella presente negli ultimi post.

giovedì, ottobre 12, 2006

Murder

Finalmente un omicidio in una via vicino a casa mia. Questa citta' cominciava a essere noiosa.

mercoledì, ottobre 11, 2006

La terza eta'

La differenza maggiore tra quello che si vede mentre si cammina in una strada italiana e in una strada inglese, in verita', e' quello che non si vede. E quello che non si vede nelle strade inglesi sono gli anziani, comunque persone sopra i 65 anni, che non indossano abiti da lavoro. So che e' assurdo, ma e' vero. A Bologna, ogni volta che si sale su un autobus, ci si trova attorniati da almeno 3 persone sopra i 65 anni. Se si e' educati, magari gli si cede anche il posto a sedere.
Invece, dopo 5 mesi di Manchester mi ero accorto che per strada o sugli autobus di anziani non ne avevo "MAI" incontrati. D'accordo vivevo in un quartiere universitario. D'accordo, gli anziani non frequentano i pub. Ma neanche al supermercato, ne' in centro al sabato pomteriggio, o in un museo. La prima volta che ho realizzato questo era sull'autobus che mi portava all'aeroporto per tornare a casa. E li ce n'erano un paio. Qui sta accadendo la stessa cosa.
Dove sono? Immagino che l'Inghilterra abbia una situazione demografica non del tutto dissimile da quella italiana, anche se magari la sproporzione tra anziani e giovani non e' cosi' marcata. Ma almeno al mercato? o in coda alla cassa del supermercato? Invece no. O il sospetto che qui si invecchi male, chiusi in casa. E il clima ha un ruolo in tutto questo. Infatti, a causa del clima, in Gran Bretagna la socializzazione avviene solo in luoghi delimitati da 4 mura: i pub, le associazioni, i teatri. Sopra una certa eta' le 4 mura diventano quelle della propria casa a schiera. Davanti alla BBC che manda gli EastEnders E' solo una supposizione. Qualcuno ha un'idea migliore?

martedì, ottobre 10, 2006

Globalizzazione e modello europeo

Ieri sera ho assistito a una conferenza, qui alla LSE, dal titolo "Global Age: Europe, China and India". Tra i relatori vi era Peter Mandelson (commissario europeo al commercio), una studiosa tedesca o russa, comunque bionda, giovane e affascinante, di cui mi sono innamorato (e non solo per l'aspetto), e Anthony Giddens, sociologo, membro della Camera dei Lord, ideologo del New Labour Party di Tony Blair e della "Terza via", e soprattutto ex preside della LSE ("ho sempre pensato che LSE volesse dire "Lots of Stupid Exams"). L'oggetto della conferenza era una appassionata difesa del modello sociale europeo, di fronte alle pressioni della globalizzazione e della competitizione che arriva dall'Asia. Ma non solo. Il welfare state europeo veniva descritto come "la" premessa e la ricetta per affrontare le sfide del XXI secolo. Elevati livelli di spesa sociale (e quindi di tassazione), investimenti in istruzione e ricerca (capitale umano), sussidi contro la disoccupazione che accompagnano un mercato del lavoro altamente flessibile, venivano descritti non come un freno alla competitivita' europea e alla sostenibilita' del modello europeo nel lungo termine. Ma bensi' come una condizione per avere una societa' in grado di adattarsi alle nuove condizioni richieste dalla "societa' dell'informazione", mentre la produzione di scarpe o macchinari si sposta verso l'Asia o l'Est Europa.
Era una visione stimolante, e lo era ancora di piu' perche' veniva da oratori inglesi. E' quasi banale essere europeisti in Italia, semplicemente perche' intellettualmente non ci sono alternative. L'Europeismo e' per gli italiani un modo per non isolarsi dal resto del mondo, per reclamare un ruolo da ultima dei grandi stati europei invece che da prima dei piccoli. L'adesione all'Europeismo (e alla Nato) e' stato nel dopoguerra un modo per non dovere prendere una posizione in politica estera e per lavarsi l'onta del fascismo e della II Guerra Mondiale.
La politica inglese e' invece sempre stata sospesa tra Atlantico e Canale della Manica, America e Europa. Ma soprattutto ha fatto vanto (probabilmente giustamente) della propria unicita' e peculiarita'.
Ha fatto quindi effetto ieri sentir dire a Anthony Giddens a altri "abbiamo piu' da imparare noi dall'Europa di quanto abbia l'Europa da imparare da noi". Con il pragmatismo britannico, il tema della discussione non e' stato un pro-europeismo idillico e di facciata, ma una serie di proposte precise su come guardare al futuro, indicando esempi positivi (Svezia, Danimarca, Spagna) e negativi (Francia, Italia) su come aggiustare le politiche economiche e sociali. Alla fine vi era un eccesso di retorica, ma molto meno che nei comuni dibattiti su come "governare la globalizzazione".
All'uscita della conferenza, un amico brasiliano che era con me, e altri ragazzi indiani hanno detto: "Troppo diplomatici. Cosa serve parlare solo di Europa. E tutto il resto?". In effetti mentre noi proviamo a difendere la "fortezza europa", il mondo attorno cambia. Per fortuna ci sono persone che hanno capito che per salvare la fortezza europa, bisogna capire che tante politiche sociali comunemente identificate come ostacoli o freni, possono essere uno stimolo per difendere la posizione nel mondo che cambia (ma hanno sottolinato come un mercato del lavoro troppo chiuso ("In Francia divorziare dalla moglie e' piu' facile che divorziare da un dipendente") e' controproducente in una societa' post-industriale. E in larga parte sono d'accordo.
Da segnalare la barzelletta con cui Giddens a chiuso l'intervento: un arbitro di calcio va in paradiso. S.Pietro lo accoglie all'ingresso e gli dice:
- Tu non puoi entrare in paradiso, a meno che non mi mostri che ha compiuto dei gesti di alta moralita' nella tua vita
- Io sono solo un arbitro di calcio. Non posso aver compiuto azioni moralmente degne. Semplicemente arbitravo partite.
- Allora dimostrami almeno che hai compiuto dei gesti di estremo coraggio
- Be, si! Ero ad Anfield Road. E nella partita tra il Liverpool e l'Everton, ho dato un rigore all'Everton pochi minuti prima della fine della partita. Proprio sotto la curva dove stavano i tifosi del Liverpool.
- In effetti questa e' un gesto coraggioso. E quando e' avvenuto questo?
- Tre minuti fa.

venerdì, ottobre 06, 2006

Week 2






Torno ad aggiornare il blog. Causa del ritardo e' che ho cominciato a fare quello per cui sono venuto a Londra, cioe', studiare. Iniziate le lezioni, tanto entusiasmo, molto stress, poco cibo decente e ancora meno sole.
Penso che sara' questo il leit-motif dei prossimi due mesi, fino al mio ritorno a casa.
Ho iniziato i miei 3 corsi (ebbene si', solo 3!) che sono International Political Economy, Politics of Money in the World Economy e Economic Diplomacy, piu' varie altre lezioni che ascolto a tempo perso. Per fortuna, alla didattica inglese sono gia' abituato, e l'inizio e' stato semplice. Nonostante sia in un dipartimento di Relazioni Internazionali, la grande maggioranza ha fatto studi di economia, e a parlare di "neo-realismo" pensano a un genere cinematografico. Tra gli europei, gli italiani sono nel mio corso nettamente dominante (siamo in 6), a cui si aggiunge uno svizzero del canton Ticino. L'approccio, dal punto di vista "umano" e' comunque stato buono. Di persone particolarmente piene di se' finora non ne ho incontrate.
In tutto questo, ho approfittato di due sabati consecutivi di sole per fare un po' di turismo di massa. Sabato scorso alla Tate modern, che altro non e' che un supermercato dell'arte dove si e' costretti a fare a spallate con gli altri visitatori piu' che in un pub al sabato sera. Peccato per il sovraffollamento perche' l'allestimento e' bello (qualcuno si ricorda di quando Bellasi all'interno delle lezioni di Sociologia parlava dell'opera di Duschamp "Il Grande Vetro". Ebbene e' li'. E non l'ho capita. Come penso nemmeno Bellasi). Oggi mi sono infilato alla National Gallery: meraviglisa. Specialmente la parte di arte italiana rinascimentale (e.g. "Vergine delle Rocce" di Leonardo, vari Raffaello, Correggio, e Parmigianino... ebbene si, un po di R parmigiana anche a Londra). Mi sono reso conto che le piu' belle collezioni di artisti italiani che ho visto sono a Londra e Berlino. Cioe' fuori dall'Italia.
La vita nello studentato continua tranquilla, a parte un furto di caffettiera avvenuto nella mia cucina nottetempo, e il fatto che il ragazzo di Singapore continua a fare dei casini con il forno a microonde, impestando la cucina di un tremendo odore di bruciato. Io comunque mi rifugio a mangiare nella mensa dello studentato. Si mangia discretamente e si spende poco, ma confesso che sto diventato stanco del cibo inglese. Ancora un paio di settimane e potrei mollare il colpo. Lo Yorkshire pudding, la prima volta genera curiosita' ma la seconda genera angoscia esistenziale. COsi' come l'uso delle patatine al posto del pane: il mio fegato comincia a ribellarsi a questa usanza barbara.
Ieri sera festa scozzese a casa di due amici scozzesi, Steven e Anna. Ero completamente sobrio in quanto la festa si e' tenuta sul tetto/terrazza del loro appartamento a White Chapel, e per raggiungere questo luogo bisognava inerpicarsi su una scala a pioli che conduceva a una botola sul soffitto. Ho subito realizzato che due bicchieri di vino di troppo e non sarei mai sceso vivo da quella scala. Pero' da la sopra c'era una bellissima vista. Lo skyline di Londra di notte, con a destra la City, a sinistra Canary Wharf e di fronte il Tower Bridge. Certe cose non han prezzo, per tutto il resto c'e' Mastercard. E la mia Mastercard sta cominciando a sentire il colpo dei prezzi londinesi. Speriamo regga.

P.S. nelle foto qualche scorcio turistico di Londra, il mio coinquilino olandese Erwin mentre si addormenta studiando, e alcuni amici: da sinistra a destra Steven (Glasgow), TC (Colorado) e Josh (Ney York City)

giovedì, ottobre 05, 2006

Ad ampie falcate


Alle otto e mezza di mattina gli inglesi camminano velocissimi. Non corrono. Non e' correndo che si costruiscono gli imperi, ma camminando ad ampie falcate, con la testa bassa in caso di pioggia, o fissa in avanti in caso di non-pioggia (che a Londra non vuol dire sole). Le prime mattine in cui mi recavo all'universita' rimanevo scioccato. Chiunque incontrassi sulla mia strada, anche bambini alti la meta' di me, mi sorpassavano in poche falcate. All'incrocio successivo gia' non li vedevo piu' davanti a me. Non ho capito perche' tutto questo. Non sembra fretta ne' frenesia. Un popolo che ha fretta di arrivare al mattino non si mette a friggere uova e pancetta per colazione. Nell'attesa di trovarci un senso, poco alla volta ho provato ad adattarmi. Non e' questione di aumentare il ritmo. Si rischia di essere goffi. Molto meglio allungare le falcate, con un po' di stile. Adesso alla mattina vado velocissimo. Quasi volo. Che sia pioggia o non-pioggia. A quello neanche ci bado piu'.