martedì, aprile 29, 2008

Vancouver







Vancouver è un sogno, la perla alla fine del viaggio. C’è solo un’altra città al mondo che mi aveva affascinato così tanto a prima vista: Berlino. Berlino aveva una cosa che non ho trovato in nessuna altra città europea. Il perfetto matrimonio tra antico e moderno, tra pietra e vetro. Vancouver è invece il frutto di un altro matrimonio: quello tra modernità e natura. E’ una città cosmopolita, grande, dominata da palazzi che si sviluppano in verticale, ristoranti giapponesi, e caffè bellissimi. Ma è una città dominata dalla natura. Schiacciata tra il mare di fronte e le montagne rocciose alle spalle. Una delle poche città al mondo in cui si può nuotare in mare e infilare gli sci nel giro di un paio di ore. Bellissime le spiaggie su cui le persione si riversano per camminare. Gente che cammina, pattina, o corre ovunque in viali ricoperti di piante. . E un parco maestoso nel centro della città in cui ho visto le piante più maestose che mi sia mai capitato di vedere. Sembra una località turistica, almeno dallo stile di vita delle persone che vedi per strada, e dalla rilassatezza che si respira per l’aria. Ma non è una cartolina come la maggior parte delle mete turistiche. E’ una metropoli in trasformazione.
Sembra quasi un’utopia perchè racchiude i lati positivi del vivere in canada senza i lati negativi. Lati positivi: è in Canada. Mancanza dei lati negativi del vivere in Canada: niente neve, quasi mai le temperature vanno sotto zero, è una comunità estremamente concentrata, e non dispersa per chilometri e chilometri come qualasiasi cittadina canadese. E’ la città del sushi. A ogni angolo della strada, ristoranti di sushi da cui è possibile cenare per meno di 5 euro. E’ la città di una certà borghesia ultra-tecnologica, ultra sportiva, e in ultimo luogo, ultra-ricca e ultra-bianca.
Alla fine del mio viaggio per raggiungere l’oceano, scopro che in verità Vancouver non è sull’oceano, ma incuneata in una baia stretta, delimitata dall’Isola di Victoria. 4500 chilometri di viaggio, senza trovare l’oceano. Mi piace pensare che questo sia uno stimolo per ripartire. Dove? Halifax. Mi mancano ancora un migliaio di chilometri che si dipanano ad est di Waterloo fino alla Nova Scotia (Nuova Scotia), una penisola canadese sull’Atlantico. Nel mezzo Toronto, Ottawa, Montreal, Quebec City, e Halifax. Quando? Questa estate penso. Volontari?

Day 3 - Rocky Mountains







Giovedì 24, Ore 18:08
Mi ero addormentato ieri sera mentre attraversavamo le praterie del Manitoba e al mio risveglio stamattina stiamo entrando in Alberta. Subito la sensazione di essermi perso qualcosa. Dopo aver consultato la cartina ho la conferma che il mio sospetto era fondato. Mi sono perso il Saskatchewan. Quasi un migliaio di chilometri di granaio che il treno ha attraversato durante la notte. Al risveglio neve ovunque.
La giornata è stato un lungo avvicinarsi alle Montagne Rocciose. A metà del pomeriggio le montagne si sono avvicinate, e il treno si incuneato nelle montagne fino alla città di Jasper, una località turistica nel mezzo delle montagne, un po’ cortina, un po’ Las Vegas. Diana mi lascia a Jasper, dove si fermerà per un paio di giorni a pensare al suo fidanzatino mancato dai capelli rossi e le lentiggini, perso a pensarla da qualche parte in Quebec. Alla stazione le do un abbraccio sincero e un in bocca al lupo. Nonostante rappresentasse il perfetto stereotipo della persona che faccio fatica a tollerare, mi è dispiaciuto salutarla. Forse è l’effetto del treno, metafora della vita in cui tutte le persone sono ignote ma accumunate da una stessa direzione. Forse questa è una cazzata, e la verità è che c’è del buono anche in me. Ma come Marta ben sa, anche questa è una cazzata. Probabilmente sto solamente perdendo colpi. Altre persone conosciute sul treno si fermano qui a Jasper. Per fortuna il botanico-filosofo-inglese rimane, e con sua somma gioia scopre che il bar del treno vende anche Guinness invece che semplice birra canadese. Con ulteriore somma soddisfazione scopre che stiamo entrando nel fuso orario della costa pacifica, il che vuol dire un’ora in più per gustare le sue Guinness prima che il bar chiuda. Lo seguo assaggiando una Kokanee, birra della British Columbia.
Pensavo entrare nelle Montagne Rocciose fosse la parte più emozionante del viaggio. Mi sbagliavo. Bisogna prima uscirne, attraverso altre 10 ore di viaggio. Il treno è ripartito, incuneandosi ancora tra le Montagne Rocciose, e la notte scavalcava le cime delle montagne. Le conifere, i laghi, e le cime, che in questa ultima e lunga giornata hanno fatto da cornice, ora sono diventate nulla più di macchie nere. Figure di cartapesta che delimitano lo sguardo e forzano il treno ad andare avanti. Fino a Vancouver domani mattina all’alba. Fino all’Oceano. E mi ricordo di come in vita mia io non abbiamo mai visto l’Oceano. Sorrido pensando che i chilometri che un treno deve percorrere per attraversare un Oceano non sono poi molti di più dei chilometri che questo treno ha percorso.
Soundtrack: Matthew Good – Hospital Music

Day 2 - Manitoba


Mercoledì 23, Ore 21:24.
Ci sono volute 36 ore per uscire dalla provincia dell’Ontario ed entrare in Manitoba. Il paesaggio è mutato radicalmente. Sono finiti i boschi che hanno accompagnato ininterrottamente il treno nelle ultime 24 ore, così come i laghi e siamo entrati nelle “prairies”, le praterie, un granaio immenso che percorreremo per più di 2000 km fino a raggiungere le Montagne Rocciose. Lo scenario si è appiattito e tutto è diventato terribilmente simile a qualcosa di conosciuto: la Pianura Padana. Ma le distanze tra gli insediamenti umani sono dilatati all’infinito. Il panorama è dominato da file lunghissime di tralicci della corrente, che si sforzano l’energia da una fattoria all’altra, appezzamenti di terreno chilometrici, e filari di piante a delimitare gli appezzamenti. In tutto questo, il treno ha finalmente preso velocità, dopo essersi scrollato il torpore che aveva segnato le prime 36 ore di viaggio.
Piccola sosta nella stazione di Winnipeg, capitale della provincia di Manitoba, da cui riesco stranamente a collegarmi a internet e scoprire che in Italia Berlusconi è ancora lì che si appresta a salire al Quirinale… mi sento rassicurato, è tutto come nel 1994 quando ero bambino.
Al ritorno sul treno comincio a conoscere meglio le persone che mi accompagnano in questo viaggio. Seduto di fronte a me un uomo inglese con un forte accento del nord beve una birra. Mi dice che è un giardiniere, sta andando a Vancouver per lavoro, come ogni anno, ma questa volta non ha voluto arrivarci in aereo, bensì in treno. Vive nel Lake District, piccola e meravigliosa regione inglese al confine con la Scozia, in cui mi ero andato un paio di anni fa, nei miei giorni di Manchester. Mi dice che anche lui sta facendo un dottorato in botanica all’università di Durham. La sua ricerca consiste nel trovare un modo per “dare i nomi alle piante”. Dice che con la sperimentazione genetica e le continue scoperte scientifiche, ormai i nomi che vengono dati alle piante non sono più comprensibili, sono troppi, troppo complicati. La sua ricerca è dare un ordine a questo caos. Non so se sta inventando questa storia, ma sembra competente. Comunque sia, è un personaggio affascinante, che mi ricorda un personaggio di un libro di Baricco, che si reca tutti i giorni in spiaggia per misurare con precisione il punto in cui finisce il mare. Glielo dico, la storia gli piace, e ci ride sopra filosofeggiando un po’ su cosa volessi dire.
La ragazza spagnola mi ha accompagnato in questi due giorni. E’ petulante, ride e sorride troppo, fischietta istericamente simulando il canto di un uccellino, e mi segue come un’ombra, forse perché l’ho presa sotto la sua custodia. Ma tutto sommato la sua compagnia mi fa piacere. Al ritorno sul treno si apre in un racconto di perché sta viaggiando ad ovest da Montreal, città in cui abita temporaneamente. Dice che sta viaggiando ad ovest per dimenticare una delusione d’amore, un tale Simon, ragazzo quebequois che già mi immagino con i capelli rossi, e le lentiggini. Lei lo ha rifiutato per un anno, poi se ne innamora, però lui adesso si tira indietro, e lei ora deve decidere se tornare in Spagna dalla sua famiglia conservatrice o lasciare tutto e rimanere in Canada per lui, ma lui non da segni, ma lei… insomma, storia da romanzo rosa di seconda categoria, ma appunto per questo molto realistica. Adesso mi sta molto più simpatica, e umana. Penso che abbandonerò tutti i miei fantastici pregiudizi a cui tenevo così tanto.

Day 2 - Sioux Lookout



Mercoledì 23, 12:57
Sosta a Sioux Lookout. Come il nome lascia intuire, è una comunità aborigena. Negli Statu Uniti sarebbe chiamata una “riserva indiana”, ma in Canada le popolazioni native non sono rinchiuse in riserve, ma lasciate libere di sistemarsi dove vogliono… purchè rimangano sufficientemente a nord e lascino le terre a sud ai canadesi. E’ una ferita di cui i Canadesi non molto, ma pur sempre una ferita. Il Canada ha nel suo territorio una piccola ma per sempre numericamente significante popolazione aborigena, sparsa in villaggi a nord, in alcuni case estremamente a nord. Talmente a nord che le possibilità di fare qualsiasi tipo di lavoro dignitoso sono marginali. Le popolazioni aborigene finiscono quindi per vivere alle spalle dello stato, da cui deriva l’ostilità di vari canadesi. Allo stesso tempo le comunità aborigene sono dilaniate dall’alcolismo, la droga, e un tasso di suicidi molto alto. Ho sentito qualcuno chiamarlo un olocausto silenzioso. Sono sceso dal treno, e mi trovo in questo villaggio minuscolo, a centinaia di chilometri da ogni attività economica. Ho fatto due passi fino alle poche case e negozi che si affacciano vicino alla stazione. Molte delle persone che incontro sono aborigeni. Occhi stanchi. Completamente occidentalizzati, sventolano la bandiera canadese sulle loro Jeep. Ma attorno il nulla, o poco più.
Nel frattempo il treno ha smesso di dirigersi verso nord e da varie ore ha cominciato la marcia verso Ovest. I boschi si stanno diradando. I laghi ghiacciati che ho incontrato lungo tutta la mattina ora sono immensi fiumi che scorrono dai territori settentrionali, fino ai grandi laghi. Ancora varie ore prima di uscire dall’Ontario, ed entrare in Manitoba. Soundrack: The Tragical Hip, “Phantom Power”

Day 2 - Northern Ontario


Mercoledì 23, 8:02am
Siamo da qualche parte a nord di Thunder Bay, il punto più settentrionale del Lago Superiore. La neve qui è ancora ovunque e i laghi che mi hanno accompagnato per tutto il viaggio sono ghiacciati. Il treno sfila ormai da un paio d’ora nel mezzo di un ininterrotta parata di conifere. La nebbia che lo accompagnava prima che il sole sorgesse rendeva il tutto molto spettrale, quasi la coreografia di un film di Tim Burton. La notte in treno non è stata male. Gli spazi sono larghi ed essendo il sedile di fianco a me libero, non è più scomodo che un qualsiasi divano a casa di un amico. Sulle condizioni igieniche non entro nei dettagli, ma ringrazio di cuore Marta per avermi ricordato delle salviettine umidificate. Il sole sta uscendo e i colori si stanno svegliando…

Day - Going North


Martedì 22, 17:47
Le villette della periferia di Toronto si sono diradate fino a scomparire, e nel raggio di un’ora ci siamo inoltrati nel Canada rurale, quello che non avevo ancora visto. Le villette non sono scomparse, sono solo diventate immense reggie che si affacciano sulla Georgian Bay, una ramificazione del Lago Huron (uno dei Grandi Laghi nordamericani), e meta di villeggiatura per i canadesi che amano passare le loro estati (o la loro pensione) con una canna da pesca in una mano e una cassa da 12 Steam Whitstle (birra canadese) nell’altra.
Poi ci siamo inoltrati in un lungo tragitto tra boschi e laghi. Non ero stato impresso quando un mio amico mi aveva detto che il Canada è il paese con la maggior quantità di acque ferme (laghi) sul territorio.
Il treno continua verso nord, prima di curvare verso ovest fra qualche ora. I boschi si diradano, la vegetazione pura. Lo speaker annuncia una nuova meraviglia: “Ladies and Gentlement, stiamo per attraversare Sudbury, una delle più grandi miniere di nikel al mondo… tutta la vegetazione è stata distrutta vent’anni fa dalle pioggie acide”. A quasi 9 ore dalla partenza, ecco la prima sosta, Sudbury Junction, 262 miglia dalla partenza. Soundtrack: Johnny Cash

Day 1 - Out of Toronto


Martedì 22, 9:46 Ogni volta che devo partire la mia mente passa ossessivamente in rassegna tutte le cose che possono andare storte ancora prima di partire. La mia sveglia non suona e perdo il taxi alla mattina. Il treno è in ritardo e perdo la coincidenza. Arrivato alla stazione, il controllore mi fa notare che la mia prenotazione è per il 22 aprile 2009… questa volta però nulla di questo è successo. Sono sul treno finalmente. Poche persone per fortuna, ma una compagna di viaggio, Diana, una ragazzina spagnola sovraeccitata e logorroica, ma che mi ricorderà che ogni tanto tenere contatti con altri esseri umani è indispensabile.
Dietro alla mia carrozza vi è una carrozza panoramica, sopraelevata e il cui tetto è trasparente. Sono in testa al treno e un paio di carrozze di fronte a me riesco a vedere la locomotrice districarsi come un verme nelle non so per quale motivo curvilinee linee del più-che-piatto Ontario. Dalla mia postazione è possibile fare qualcosa che normalmente è vietato fare su qualsiasi treno: guardare avanti. Sembra quasi di essere il conducente del treno. Ho preso possesso di un tavolino e ne ho fatto il mio ufficio.
Lo speaker nell’interfono annuncia con una voce stridula che durante il viaggio renderà puntualmente conto delle meraviglie da osservare, a cominciare dalla prima, dietro la curva. Ladies and Gentlemen, prestate attenzione a quell’uomo che da vent’anni tutte le volte che passa questo treno esce di casa a salutare i passeggeri. Eccolo, ladies and gentlemen, salutatelo anche voi…. Nel frattempo usciamo lentamente dall’area urbana di Toronto, dove la classe media canadese vive in villettine monofamiliari, color mattone, garage sul fronte della casa, auto parcheggiata nel vialetto, e barbeque pronto in vista… ancora 45000 km all’arrivo. Nelle cuffie: Jeff Buckley – Last Goodbye

Toronto-Vancouver Episode 1


Martedì 22, 5:26 di mattina. Aspettando il taxi che mi porti in stazione. La mia preparazione per questo viaggio è stata quantomeno precaria. Di tutte le cose che mi ero ripromesso di portare, alla fine ho solo la confezione familia di M&Ms, e delle salviette umidificate per mantenere una parvenza di igiene. Ma ho un biglietto del treno. Alcuni buoni libri che avevo tenuto da parte. Una confezione familia di M&Ms, appunto. E una cartina con il tragitto in scala 1 su 1 miliardo. Dalla partenza all’arrivo sono 4500 km, 4 fusi orari, una serie di praterie immense, petrolio, poi finalmente le montagne rocciose, e infine Vancouver e il mare.
Mi sono autoconvinto in questi mesi che l’unico modo per capire questo pease e la sua unicità è toccando con mano le distanza che lo contraddistinguono. E il vero viaggio che ha formato l’identità di questo paese è stato quello da est a ovest, così come lo percorsero i pionieri. Non ho spirito di emulazione, solo curiosità e voglia di essere sorpreso. Let’s the travel begin.

martedì, aprile 01, 2008

Il ritorno della pioggia

Ho scritto poco su questo blog in questi mesi, e la maggior parte dei post erano dedicati al meteo. Questo è l’ultimo, prometto (forse). Perché stamattina ho rivisto l’erba. Non me n’ero accorto. Non sembrava nemmeno lei. Coperta in un mare di fango. Comunque non era neve. E sono sicuro che nei prossimi giorni ne rivedrò ancora qualche esemplare. Non mi ricordavo che sembianza avesse, così come non mi ricordavo il rumore e la sensazione di una mattinata di pioggia. La pioggia è un lusso che non ci si può permettere sotto zero.
All’improvviso stamattina le temperature sono schizzate fino a dieci gradi. Sopra lo zero. Forse è un pesce d’aprile. Le previsioni dicono che torneremo a -7 nei prossimi giorni. Ma l’inverno a chiaramente dato un segnale: si arrende. Ho vinto. Ho vinto.

La mia prima Pasqua lontana dalla Santa Romana Chiesa

Questa è stata la prima pasqua battista-mennonita, lontano dall’abbraccio di Santa Romana Chiesa. La giornata è stata organizzata dalla “figlia del pastore”, Leah, compagna di studi e amica, nonché figlia di un pastore luterano. Decidiamo di passare la giornata assieme. Io scelgo il pranzo, lei sceglie la religione. E mi porta nella sua chiesa “Battista” (anche se lei non è Battista). Il difficile in tutto ciò e è dimenarsi tra le decine di vecchietti che all’ingresso ti vogliono stringere la mano a tutti i costi. Mi avvicino a Leah all’ingresso della chiesa e le dico: “Basta gente felice e amichevole. Andiamo nella sezione scontenti”. Ci si siede. L’inquietudione sale nel notare il numero di persone sotto i 40 anni, la stragrande maggioranza. Il rassicurante dominio degli 80enni nelle chiese cattoliche già mi manca. Comincia la musica. Un po’ colonna sonora di Start Wars, un po’ Broadway. Organo. Coro. Chitarra. Batteria. Tromba. Basso elettrico. Un giovane cantante che assomigliava a un misto tra il nuovo American Pop Idol e il giovane predicatore di “There will be blood – il petroliere” (vedi http://www.youtube.com/watch?v=QP7lFpPnHg4&feature=related). E qui la rivelazione. Vedo la parola del signore. E la vedo doppia. Sue due diversi maxischermi che sormontano l’altare. Parole del Signore su Powerpoint. Font: Arial, dimensione 890, colore violetto. I canti proseguono per mezz’ora, e le parole vengono proiettate sui maxischermi, stile karaoke. Attendo prima lettura, salmo, lettera di S.Paolo, Vangelo, predica (noiosa). Attendo qualcosa di prevedibile e confortevole. Nulla di questo. Continuano a cantare. Le canzoni sono tremende, i testi pure. Ma il trasporto (non mio) è intenso. Alcune persone alzano le mani dritte verso il cielo e rimangono fermi in quella posizione per minuti. Passa il cestino delle offerte. Questo so come funziona, l’ho già visto. Tiro fuori dal portafoglio un dollaro. Ma quando il cestino sta per avvicinarsi a me, noto che tutti gli altri lasciano non monete ma una busta bianca. Immagino piena di soldi. Rimetto il mio dollaro nel portafoglio e penso che lo spenderò in una busta di patatine al primo distributore automatico. Finita la musica a che un predicatore fa un sermone intermezzato da Gag. Anche lui avvalendosi di Powerpoint per sottolineare i punti salienti. Chiede a eventuali “ospiti” della chiesa di lasciare il loro nome e contatti su un foglietto preparato. No, grazie. Preferisco l’anonimato. E poi tutto finisce. Senza una preghiera. Senza un eucarestia. Solo canzoni. Durante il pranzo, in un villaggio Mennonita vicino a Waterloo, chiedo a Leah: “e le preghere?”. Lei: “la musica era la preghiera”.