sabato, gennaio 28, 2006

Ultimo post da Manchester

Questo è l’ultimo post da Manchester. Domani per la terza volta trascinerò faticosamente i miei 30 chili di bagaglio fino alla fermata dell’autobus. E poi da lì all’aeroporto di Manchester. E poi in Italia.
Pensavo a cosa si debba scrivere nell’ultimo post. Forse è come l’ultima pagina di un libro. Il protagonista sconfigge il nemico e sposa la sua bella. Il detective scopre l’assassino, che chiaramente era il maggiordomo. Dart Vader dice a Luke Skywalker: “sono tuo padre!”. Berlusconi dice al popolo italiano: “ve l’ho messa ancora nel…”. Cose amene del genere.
Però un blog, a differenza di un romanzo, non ha per forza una fine. E per questo non metterò nessun hollywooodiano ‘The End’. Probabilmente in futuro ritornerò a scrivere su queste pagine, magari per raccontare una nuova partenza che non posso tenermi per me, magari per comunicare cosa si prova a vincere le elezioni in aprile, magari per annunciare che lascio il paese se si perdono le elezioni ad aprile.
Se non metto la parola fine, considero però sciolto il vincolo morale che vari di voi hanno tenuto nei miei confronti in questi brevissimi 5 mesi (sono volati!). L’impegno da parte mia a cogliere nella mia quotidianità qualcosa che valesse la pena di essere raccontato. L’impegno da parte vostra a controllare questo sito, a leggere, a lasciare commenti, a non lasciare che la distanza permettesse di allontanarsi. Leggerli è stato per me una fonte di sollievo nei momenti in cui la città ti opprime, di divertimento nei momenti di noia universitaria, e un buon motivo per convincermi che tornare a casa non è poi così male. A voi quindi il mio ringraziamento, e in particolare a Marcello, Seba (a cui auguro di trovare a Stoccolma il gusto di mettersi ogni giorno in gioco che io ho trovato qui, e possibilmente anche una svedese atipica), Manuel, Manlio e a chi mi ha scritto su queste pagine.
Non chiuderò questo blog con ‘The End’, perché una cosa che ho imparato qui, è che la distanza tra una fine e l’inizio successivo è questione solo di prospettiva. La linea non è chiara ma spero di riuscire a valicarla ancora. E spero di tornare su queste pagine a scrivere, come dice Jannacci, “l’effetto che fa!”.
E quindi:

THE BEGINNING

Penultimo post da Manchester

Sabato mattina. Ore 12e40. Sullo sfondo il cd di Paolo Benvegnù (chi???? Direte voi. Ignoranti! Replico io). Fuori c’è un sole incredibile, mentre mio padre mi manda una mail con la foto dei 38 cm di neve che mi aspettano davanti alla porta di casa (il messaggio implicito è “preparati a spalare”). Sto bevendo il mio tè Twinings Earl Grey, di cui sono diventato ormai dipendente, mentre cerco di trovare il coraggio per cominciare il mio ‘cleaning Saturday’. Essendo l’ultimo a lasciare questa casa, tocca a me il compito di lavare il bagno, lavare il secondo bagno, pulire la cucina, pulire il forno, passare l’aspirapolvere sulla moquette in tutte le stanze. Dopo di che faccio la valigia, e provo a far capire a quelli della società del gas che me ne vado e che mi mandino la bolletta in Italia (non potete immaginare la stupidità di quelli che lavorano al call center della società del gas. Penso facciano selezioni durissime per trovare i più incapaci). Che Dio me la mandi buona!
In questi ultimi giorni di semi-vacanza sono tornato a fare il turista come nelle prime settimane. Sono stato a Londra, finalmente. Alla fine, in 5 mesi il paese l’ho girato più di quanto pensassi. Dalla Scozia, al Galles, fino all’estremo sud sulla Manica. In questi giorni, vagando per Manchester, mi sono reso conto come alla fine sono riuscito a fare pace con la città. Ripensavo all’inizio, a come fosse alienante tanto quanto affascinante. A quando fischiavano le pallottole e la lingua parlata attorno a me era tutt’altro che inglese. Tutto è come prima. Le pallottole fischiano ancora quasi ogni giorno (ma per fortuna lontano da casa mia) e i Manchunian non parlano ancora inglese (chissà se un giorno impareranno?). Però è una realtà che ho imparato a domare, a coglierne i lati positivi, a conquistarmi la mia quotidianità all’interno. E questo mi da soddisfazione.
Ho fatto pace con la città ma questo non vuol dire che ho fatto pace con la gioventù inglese. Comunque mi sono convinto che fra qualche anno devo tornare qui. Oggi l’orizzonte del centro è costellato di gru. Domani saranno mosaici di vetrate che si confondono ai palazzi vittoriani. Passato e futuro. Ed è questo che amo di questa città. Passato e futuro.

martedì, gennaio 24, 2006

Il mio primo Goldman Sachs' Party


Il luogo della festa era un bell'appartamento a Londra, tra South Kensington e Fulham. Tre camere da letto, un bel salotto, due bagni e una cucina (e un giardino condominiale grande quanto Piazza Garibaldi a Fidenza). Affitto 525 pounds alla settimana. Cioe' 3200 euro al mese da dividere tra i tre inquilini (mi hanno detto poi che era estremamente economico, visto che avrebbero potuto pagare 700 pounds alla settimana per quel posto).
Questa era la location della mio primo 'Goldman Sachs Party'. Goldman Sachs e' la piu' grande banca di investimenti del mondo (per capirci, quelle che muovo miliardi di dollari, non quelle dove i pensionati fanno la coda il martedi' mattina). Era il compleanno di una amica australiana di Elisabeth, e visto che il suo ragazzo svedese (il padrone di casa) e' un rampante svedese, impiegato come analista finanziario della city presso Goldman Sachs, la festa era popolata da giovani analisti finanziari ('ah sei italiano, noi facciamo le consulenze per l'Unipol!' 'no, per favore non parliamo di Unipol che mi viene male').
Faccio un breve ritratto: eta' media 27 anni. Alcuni svedesi, australiani, inglesi, un francese, uno spagnolo. Tutti impiegati nella city presso banche di investimenti come JP Morgan, UBS, Goldman Sachs. Dopo essersi laureati nelle migliori business school dei rispettivi paesi ('ah sei Italiano! Io ho fatto un'Erasmus alla Bocconi!) sono stati subito assunti nel tempio della finanza mondiale, cioe' Londra, dai sacerdoti dell'economia, cioe' le banche d'investimenti.
Dopo un inizio di conversazione con un australiano un po' scioccante ('dopo tutto Londra non e' un brutto posto dove vivere: in un paio di ore sei in Marocco o a sciare in Svizzera..') mi sono reso conto che erano ragazzi normalissimi, non particolarmente fuori dalla norma, ne' dei geni. Sono quei rampolli che hanno pianificato i loro studi e la loro vita per arrivare al top e, padroneggiando perfettamente le loro vite, a 27 anni guadagnano degli stipendi che probabilmente non vedro' mai. La 'meglio gioventu' in un periodo di globalizzazione.
Mi hanno fatto una certa tristezza, e sinceramente nessuna invidia (a parte per l'appartamento di Londra senza moquette a cui confronto la mia dimora a Manchester e' una topaia, e per cui venderei l'anima al diavolo). Quando gli chiedevi cosa facevano come lavoro, strabuzzavano gli occhi e rispondevano 'non parliamo di lavoro adesso'. Si, certo il lavoro e' 'exciting' ma 'e' sabato, ho finito di lavorare alle 9 di sera e domani mattina (domenica) alle 10 sono in ufficio'. L'ambiente e' iper-competitivo. Il ragazzo francese e spagnolo (non a caso gli unici due sud-europei) mi dicono che probabilmente a fine anno cambieranno lavoro e forse torneranno in patria. 'Non importano i soldi che guadagno, tanto non ho tempo per spenderli' (non avrei mai pensato nella mia vita di sentire questa frase dal vivo).
Ma la cosa che piu' mi ha intristito e' stato il fatto che si identificavano reciprocamente con il nome della banca per cui lavoravano: 'quello e' Johaan, lavora per Societe' Generale, lui e' Mark della UBS'. Probabilmente l'ambiente della City, come ogni tempio del capitalismo o del potere oggi, a Londra come a Roma o Milano, e' capace di plasmare la tua vita e la tua identita': tu sei il tuo lavoro. Tutto il resto non conta, o forse, per tutto il resto non c'e' tempo (lo spagnolo mi dice che quest'anno non ha avuto tempo di leggere piu' di 20 pagine da un libro). Se vuoi rimanere al top e permetterti di vivere a Londra e andare a giocare a golf in SudAfrica, tutto il resto e' subordinato.

P.S. quelli nella foto sono i libri che ho trovato nella camera in cui dormivo (un altro banchiere svedese). La cosa piu' bella erano pero' le scarpe da golf, ricamate, bianche e marroni, che erano riposte con cura sotto la mensola

venerdì, gennaio 20, 2006

Partenze


Mentre scendevo le scale per uscire oggi, mi sono accorto di quanto fosse simile a quando per la prima volta ero entrato in quella casa. Vuota. Silenziosa. Una goccia di blu (il colore della moquette onnipresente in tutte le stanze) in un mare di rosso.
E mi sono accorto che le persone che mi hanno accompagnato duranti i 5 mesi se ne sono andate tutte. Alcune da tempo, altre negli ultimi giorni. Rimane solo la citta' ed Elisabeth. Anche la pioggia sembra non aver piu' voglia di cadere.
Le mie coinquiline hanno lasciato il paese questa settimana.
Martedi' e' partita Laura (quella a sinistra nella foto). L'ho accompagnata all'aeroporto. E' stato molto bello lasciarsi in quel modo. In questi mesi e' stata una sorta di sorella per me, una persona importante. E' una di quelle persone che non sono capaci di essere pensierose, depresse o lunatiche. L'allegria stampata sul viso come un affresco. E' stata quindi fondamentale per me in questi mesi, nel rendere solari le serate passate sul divano, mentre io cercavo di convincerla a abbandonare il suo vegetarianesimo e cominciare a bere un po' d'alcool, o in cui la accusavo di essere francese e di aver votato no al referendum sulla costituzione europea (ma e' troppo cosmopolita per prendersela).
E' partita con il suo zaino da scout. Niente valigie con le ruote. Perche' i chilometri, se vuoi sentirli, devi portarli sulle spalle. Non trascinarteli agevolmente su un trolley. Laura e' una che di chilometri sulle spalle ne ha portati tanti. E continua a farne. Dopo aver passato qualche giorno a Parigi questa settimana in attesa del visto, ieri ha preso un altro aereo per Buenos Aires dove lavorera' fino a settembre all'ambasciata francese in Argentina. Era un po' preoccupata perche' avrebbe attraversato l'Atlantico con un volo Alitalia, e mi chiedeva se doveva fidarsi della compagnia di bandiera italiana. Io naturalmente ho mentito (E non le ho detto che la cosa di cui si sarebbe dovuta preoccupare veramente sarebbero stati i suoi bagagli che saranno aperti e ripuliti durante lo scalo a Malpensa).
Stamattina poi e' partita anche Carole (quella a destra). Non l'ho accompagnata all'aeroporto. Ma solo perche' ha lasciato la casa alle 6e30 di mattina. Ho avuto la gentilezza pero' di svegliarmi, bofonchiare qualcosa in inglese, baciarla (sulla guancia!) e poi tornare a letto. Comunque alla fine avevo instaurato un bel rapporto anche con lei (probabilmente siamo troppo simili per apprezzarci fino in fondo).
Nella casa che si svuota sento tangibile il senso della fine di un periodo. Non sono malinconico. Ogni partenza e' bella perche' prevede un ritorno e la possibilita' di rivedere i passi fatti. E ogni ritorno e' bellissimo se ci da la possibilita' di ripartire ancora (anche non fisicamente). Mi chiedo come sara' rientrare nella routine di prima. Spero che questi mesi siano serviti a darmi gli strumenti e la volonta' di non re-iniziare tutto come prima, ma mettere da parte molte cose e aprire nuove porte.
Adesso davanti a me ho ancora 9 giorni, un week-end a Londra, una citta' e una ragazza da salutare.

martedì, gennaio 17, 2006

Festeggiamenti post-esami

La cosa bella dei locali di Manchester e' che dopo aver fatto passare lungo la serata qualsiasi tipo di musica, e averti alla massacrato alla fine con della tecno tremenda, prima di lasciarti andare e affidarti alla notte all'improvviso il Dj chiude la serata con 'Don't look back in anger'. E tutte le tensioni si sciolgono e gli inglesi, ubriachi o meno, si abbracciano, alzando le mani e le birre al cielo.
E quando lo spirito frustrato del sabato sera si e' finalmente rasserenato, ancora un ultimo pezzo: 'Never forget' dei Take That. E gli inglesi continuano ad abbracciarsi e a ballare, e anche quando il pezzo e' finito loro ballano, e ballano, e ballano... ed e' molto piu' bello tornare la fuori sotto la pioggia.
W i Take That (per favore scaricatevi i due pezzi. Capite cosa e' Manchester)

lunedì, gennaio 16, 2006

Fine erasmus

Alleluia! Sono svuotato. Leggero come un palloncino di elio. Oggi pomeriggio ho finito il mio Erasmus (almeno dal punto di vista accademico). 15000 parole, una cinquantina di pagine in inglese, decisamente sudate. E che soprattutto varanno 27 Crediti (ma arrivato alla fine della triennale mi rendo conto di quanto siano inutili. e che la conoscenza che si assorbe non si misura nel numero di crediti sul libretto ma in quello di domande che ci si pone).
Adesso ho ancora dieci 13 giorni prima di tornare in Italia il 29 gennaio. Rimpianto a tornare? Si, ma e' giusto cosi'.
In questi giorni comincero' a lavorare alla tesi, riprendero' a svegliarmi tardi, cercero' di chiarirmi le idee per capire dove sbattere la testa l'anno prossimo. E poi mi commiato dalla citta'. Ci vediamo presto in Italia...

giovedì, gennaio 12, 2006

Breve sfogo politico

Geniale frase di Pierluigi Bersani sul caso DS-Unipol:
"Berlusconi, se sa qualcosa, vada dai giudici. Stia solo attento a non restarci troppo"

direi che dopo l'inarrivabile "Io non ho mai fatto affari con la politica" di Silvio B., questa e' la migliore battuta del 2006

mercoledì, gennaio 04, 2006

Malpensa - Manchester: Episode III


Attraversare l'Europa, quando il sole e' gia' tramontato, e in un tempo troppo breve per distrarsi o capire, e' una cosa che mi ha emozionato. Nonostante all'aeroporto mi muovessi come un 'uomo che conosce il mondo', e che attraversa gli enormi spazi di Malpensa con la sicurezza di un torero nella corrida. A volte bisogna convincersi.
Comunque sono tornato a Manchester. E la cosa strana (e forse bella) e' che non appena ho rimesso piede nel mio appartamento mi sono detto 'che bello essere di nuovo a casa'. Strana, perche' in verita' la casa l'avevo appena lasciata in Italia. Bella, perche' mi rendo conto di essermi legato a una realta' che consideravo, e ancora considero, largamente estranea. Ma che sento mi sta nutrendo, sotto molti punti di vista.
Al di la' di questo, sono estremamente contento di aver lasciato l'Italia. Non perche' sia stato male in queste vacanze. Tutt'altro. Ho rivisto quasi tutti gli amici piu' cari, mangiato come Dio comanda (e di conseguenza ingrassato notevolmente), vissuto dei bei momenti. Ma mi sono reso conto di come la mia routine italiana sia infarcita di mille attitudini, momenti e azioni, inutili, consuetudinarie, che facevo e che faccio senza un senso. Mi sono ritrovato in questi giorni ad accendere la televisione senza guardarla, a riempire e rinchiudere le mie giornate in schemi prefissati che ripeto da dieci anni. Non che questo non succeda qui, pero' probabilmente la routine inglese ha ancora qualcosa di non completemente assimilato, in grado di generare aspettative e novita' quasi ogni giorno.
Comunque le mie coinquiline stanno bene (sono rimaste solo Carole e Laura, in quanto le tedesche hanno finito l'Erasmus) e da stamattina ho iniziato i miei dieci giorni di fuoco e di studio, prima di consegnare i miei 3 saggi che mi varranno i tanto agognati 27 crediti formativi. Nei prossimi giorni non so se riusciro' a scrivere qualcosa, non per mancanza di tempo, ma perche' saro' rinchiuso di fronte a un computer, cercando di tradurre i miei pensieri in qualcosa di simile all'Inglese (che poi verra' puntualmente corretto dal mio ortografo di fiducia Davide Giordani).