
Nella foto potete ammirare la sorprendente angolazione raggiunta dal quinto dito del mio piede sinistro poco dopo che si è venuto a trovare accidentalmente a contatto con lo stipite di una porta di casa mia. Risultato del diverbio: frattura. Secondo i medici del Pronto Soccorso di Fidenza è guaribile avvolgendolo con un pezzo di nastro adesivo al dito adiacente per un tempo di 20 giorni, e portando un paio di zoccoli di legno. Ho provato a spiegare al dottore che non posso prendere un aereo domani, nè tantomeno girare per il centro di Londra con degli zoccoli di legno degni di Ermanno Olmi, ma non abbiamo raggiunto un accordo. Mi affiderò a cure alternative, tipo l'omeopatia o l'asportazione del mignolo.
A parte questo, domenica finalmente si torna a "casa", se la casa è il luogo dove si sente il bisogno di tornare. Mi attendono un periodo lungo di studio, perdita del grasso accumulato in queste vacanze. Ma in mezzo a questo passa tanta vita, e la sensazione di essere di nuovo in movimento, precario ma in movimento, che qui mi manca e di cui ho bisogno ancora per un po'.
Ripensando ai tre mesi passati a Londra, e confrontandoli con la mia realtà italiana, mi è venuto in mente quale è la cosa più straordinaria della LSE e del mio studentato. Solo li' è possibile sentirsi parte di una minoranza in un mondo che non conosce maggioranze. Non si è a casa. Si è stranieri. Ma attorno a te anche gli altri sono stranieri. Anche gli altri conoscono e vivono la precarietà, la necessità di aprirsi, conoscere e aiutarsi che deriva dalla condizione di "minoranza". Ma soprattutto in un mondo popolato di minoranze, quando ci si confronta con una persona di un altro paese e culture, non si trovano di fronte un "io" e un "altro", ma due "altri". Mi spiego meglio. Anche la persona più tollerante, illuminata e piena delle migliori intenzioni quando parlerà con un ragazzo Pakistano, inglese o brasiliano per le strade di Bologna, si metterà su un gradino più alto (anche se solo inconsciamente). Infatti si sentirà "a casa", mentre l'altro sarà in quel contesto un "estraneo", ma qualcuno che non capirà, vivrà e possederà la realtà circostante come noi. Nelle migliori circostanze sarà per noi un "ospite", nelle peggiori un "intruso". Ma comunque sarà sempre un "altro", che vive in una condizione diversa da noi.
Dove mi trovo a Londra, su 100 studenti del mio corso, 5 sono italiani, 7 americani, 3 canadesi, 2 brasiliani, 6 francesi, 2 inglesi, e così via... non penso che nessun gruppo nazionale raggiunga i 10 studenti (anche se non ho idea di quanti siano i cinesi). Siamo tutti "altri" in quel contesto.... in un mondo di altri ognuno ha più da imparare che da insegnare...