mercoledì, novembre 30, 2005
venerdì, novembre 25, 2005
Universita' a confronto
Dopo aver assaggiato e affrontato due mesi di università inglese penso di poter azzardare alcune considerazioni e qualche confronto con l’università italiana. L’università inglese e quella italiana sono due poli opposti, con metodi diversi, prerequisiti e risultati diversi, e soprattutto diversi pregi e difetti.
La prima cosa che colpisce nell’entrare nella didattica inglese è l’organizzazione delle lezioni. Due ore a settimana per corso (sento già le grida di indignazione dei bolognesi frustrati dalle loro lezioni fino alle 7 di sera). Un’ora in cui il docente fa un’introduzione al tema assegnato nella settimana e un’ora di tutorial dove in 10 studenti si trovano a discutere di quell’argomento accompagnati da un tutor, normalmente un ragazzo che sta facendo un dottorato o il professore stesso, a cercare di stimolare la discussione.
La seconda cosa che colpisce è che non esiste il famoso “manuale”. Molto spesso non c’è da comprare alcun libro (o non c’è da fotocopiare alcun libro, per i puristi della fotocopiatrice). Ogni settimana viene data una lista con sopra indicati dai 3 ai 30 testi, capitoli tratti da libri vari e articoli tratti da riviste accademiche (Carneade, chi è costui? L’università italiana sembra fare a meno di riviste accademiche) e ogni studente sceglie quanti e quali articoli leggersi (per decenza viene fissato un limite minimo di 2 ma nessuno controlla).
La terza cosa che colpisce è che negli esami, rigorosamente scritti, lo studente deve rispondere a due domande ampie scegliendo da una lista di 8. Ora, essendo le lezioni 9, di fatto gli argomenti delle domande sono già conosciuti e allo studente non è chiesto di prepararsi in dettaglio tutti gli argomenti del corso, ma di approfondirne tre di suo gradimento, avendo la quasi certezza che all’esame troverà una domanda su quelli.
La quarta cosa che colpisce è che è quasi impossibile essere bocciati, a meno che non si ricada nell’accusa di plagiarismo, cioè scrivere dei concetti senza riconoscere nelle note chi è il vero autore (e implicitamente spacciarle per proprie). Di conseguenza gli studenti si laureano in 3 anni e, come dice mia sorella, ubriacandosi mediamente 3 volte a settimana (ma qualcuno sostiene anche di piu’).
La quinta cosa che colpisce è che gli studenti inglesi sono mediamente delle capre. Il giudizio è sicuramente qualunquista ma sicuramente la loro preparazione iper-settoriale gli preclude di avere quella cosa chiamata cultura generale in cui l’istruzione italiana è maestra. Gli e’ quindi preclusa la possibilita’ di spadroneggiare nelle discussioni eleganti da salotto citando Wittgestein o Erasmo da Rotterdam (nel caso tu sia il presidente del Consiglio, e non legga un libro da 40 anni).
Quando però ho scritto in apertura che è all’opposto di quella italiana, non volevo certo dire che la nostra ha tutti i pregi mentre quella inglese ha tutti i difetti. Anzi.
Il numero ridotto di ore di lezione, l’assenza di manualoni e di esami nozionistici, e così via rispondono a una logica diversa. L’università italiana chiede allo studente di passare una mole di tempo infinita sui testi, di memorizzarseli fino a che non è in grado di rispondere a una sorta di quiz televisivo chiamato esame, o di andare di fronte a un docente e mostrargli di saper maneggiare l’argomento (e sappiamo come nell’orale spesso quello che conta è dare l’impressione di sapere, più che sapere). Il percorso è definito in partenza, il numero di capitoli pure. Non una pagina di più non una di meno. E tutto quello che esiste al di fuori del manuale e delle convinzioni del professore, leggetevele pure, ma non vi saranno valutate. Anzi, è meglio non contraddire nessuno e tenersi le proprie idee. Anzi le idee non sono richieste.
Il metodo inglese invece non chiede di avere una conoscenza completa dell’argomento. E’ sufficiente scegliere qualche fonte, leggere un paio di articoli per settimana e farsi un’dea. Essere in grado di discutere quell’argomento in fronte a una classe e al professore. Anche negli esami non vengono fatte domande nozionistiche o particolarmente dettagliate. “Elenca almeno due presidenti americani che erano senatori prima dell’elezione!” (Esame di Pasquino – Scienza Politica). Risposta: chi cazzo se ne frega. Qui, almeno nelle facoltà umanistiche, negli esami bisogna scrivere in poco tempo dei brevi saggi, rispondendo a due domande a scelta molto ampie del tipo: ‘Tizio sostiene che le multinazionali sono un mezzo per portare prosperità nei paesi in via di sviluppo. Discuti questa affermazione’. Qui non si deve dare la risposta giusta, semplicemente perché non esiste una risposta giusta o una sbagliata. Ne’ esiste quella maledetta pagina del manuale che ho dimenticato di leggere e ora non so cosa dire. Né esiste la verità del professore. Quello che è richiesto non è una risposta, ma una argomentazione. In quelle due ore bisogna quindi scrivere cosa si pensa di quell’argomento. Facile quindi? Si, sicuramente più facile del metodo italiano. Inutile? No. Io all’esame di Scienza Politica in Italia ho risposto giusto alla domanda su chi fossero i presidenti americani che prima erano stati senatori. Ma adesso non mi ricordo minimamente. Come all’esame di Storia americana sapevo elencare tutti i presidenti americani dal 1790 con tanto di data di elezione e vicepresidente. Spesso anche la causa di morte (anche perche’ le vite dei presidenti americani sono infinite fonti di aneddoti ridicoli). Il giorno dell’esame ero come il concorrente seduto di fronte a Gerry Scotti, che tenta la scalata a ‘Chi vuol essere milionario?’. Ma dal giorno dopo ne ho dimenticati la metà, e mi sembra più un gioco da bambini che un metodo di studio.
Tra l’argomentare e il memorizzare, quale si avvicina di più al capire?
Inoltre una parte del voto compresa tra un terzo e la metà viene assegnata in base a un saggio (in Italia sarebbe chiamato tesina) su un argomento a scelta tra una decina. Allo studente è chiesto quindi di farsi una propria ricerca all’interno della letteratura su quel tema, andando a cercarsi le fonti, articoli, capitoli… e alla fine di scrivere 3000 parole (10-12 pagine) in cui espone una tesi e l’argomenta, facendo precisi riferimenti alle fonti attraverso note e bibliografia. Non importa la tesi che si sostiene. Non importa se è affine a quello che pensa il professore o è completamente contraria. Quello che conta non è quello che dice, ma se lo sai argomentare. L’argomentare è una capacità estranea allo studente italiano. Invece, nello scrivere saggi, si è costretti a riflettere su quello che si sta leggendo, trovare gli elementi comuni ai vari autori e le contraddizioni, farsi un’idea e saperla dimostrare in un discorso che sia lineare e provato. Se voglio dimostrare C partendo da A, devo passare prima attraverso B. Non conta l’estetica della scrittura. Conta il rigore. Questo costringe a riflettere su quello che si scrive, e riflettere vuol dire capire. E quella conoscenza vi assicuro che non svanisce il giorno dopo l’esame.
Certo, ripeto quello che ho detto all’inizio. Il livello di conoscenza degli studenti inglesi con cui ho a che fare è assolutamente minore di quello dei miei compagni di università. I saggi in fondo si possono scrivere facendo un sapiente taglia e incolla da diverse fonti. Gli esami si possono passare studiandosi tre argomenti e ignorando tutto il resto. La laurea si può conseguire in tre anni ubriacandosi 3 sere alla settimana. Lo stesso metodo inglese che ho elogiato permette questo. L’università inglese ha tanti difetti quanto quella italiana. Ma non è questo il punto. Quello che ho apprezzato di piu’ e che l’università inglese non standardizza gli studenti costringendoli dentro percorsi predefiniti, magari dando loro la grande libertà di scegliere tra un esame di lingua francese e uno di lingua tedesca. Invece ti da una grande libertà non solo tra gli esami ma anche all’interno degli esami. Ti chiede di scegliere e di farti una tua opinione. E ti aiuta a fartela, attraverso il contatto e il confronto costante con i docenti.
E soprattutto da un nome agli studenti. In due anni ho di università italiana ho avuto a che fare con una quindicina di docenti e nessuno sa il mio nome o cognome. Qui i tre docenti che sto seguendo sanno come mi chiamo, mi mandano e-mail con i loro appunti delle lezioni, e quando vado a ricevimento mi è capitato di essere invitato al bar a discutere di quello che avevo chiesto. I docenti sono al servizio dello studente, pronti ad ascoltare e a dare indicazioni. Mi sono trovato nella situazione paradossale di studiare in Inghilterra e in inglese cose scritte dai miei professori di Bologna (Ignazi, Panebianco, Pasquino). Questo mostra come il livello di certi docenti italiani è altissimo. Ma sinceramente mi ha dato molto di più un docente di 30 anni (l’età media è molto più bassa che in Italia), con poche pubblicazioni internazionali e sicuramente non rinomato, ma con cui ho avuto modo di confrontarmi e che mi ha corretto quando gli esponevo delle idee che erano banali. La crescita avviene nel confronto e nel contraddittorio, non nel rituale della contemplazione come nelle lezioni italiane.
Come è possibile questo? Certo in Inghilterra questo è possibile perché i numeri sono diversi. I docenti sono tanti e il rapporto docenti/studenti è minore. Quella di Manchester è un’università grandissima (a livelli di Bologna) ma non aspettatevi che i soldi arrivino solo dalle tasse universitarie. Quelle non sono molto più alte che quelle italiane. Qua i soldi arrivano dalla qualità e dalla ricerca. Infatti, se il livello degli studenti è più basso di quelli italiani, questo vale solo nelle lauree triennali. Quando ci si sposta ai master e ai dottorati, la selezione diventa effettiva e unicamente meritocratica, e il livello dell’insegnamento sale. Nei master arrivano studenti da tutto il mondo, specialmente dall’Asia, pagando lautamente per specializzarsi qui. Ed essendo il livello dei master, molto alto di conseguenza anche la ricerca che viene fatta è ricerca vera, e come tale rappresenta una notevole fonte di guadagno (per darvi un’idea, l’anno scorso le ricerca ha portato nelle casse dell’universita’ 100 milioni di sterline, 150 mln di euro, 300 miliardi delle vecchie lire). Questo e’ possibile in quanto le pubblicazioni e i brevetti sono tanti e l’industria paga lautamente, finanziando così la didattica e altra ricerca (per questo penso che chi teme che l’università italiana si apra alla collaborazione con il privato non capisce che questo danneggia sia l’università che rimane chiusa in una sorte di torre d’avorio inaridendosi, sia l’economia nazionale che non riesce ad usufruire delle innovazioni che possono venire dall’università).
Chiedo scusa se sono stato troppo lungo per gli standard di un blog, ma quello che provo e’ molta amarezza nell’accorgermi di come l’universita’ italiana vada e spero possa essere cambiata e di quanto gli studenti si meritino di piu'. Non e' colpa delle persone e dei professori. Ma il sistema cosi' e' sterile.
domenica, novembre 20, 2005
Sunday Morning
Domenica mattina. Mi sveglio dopo un sonno interminabile, ben sopra le 10 ore. Un po'me ne vergogno ma sono contento e riposato. Fuori un freddo tremendo e i vetri delle auto sono ghiacciati. Sulla finestra dei miei vicini e' comparsa una scritta di vernice 'Fuck Off' a caratteri cubitali, e conoscendoli un po' probabilmente l'hanno fatta loro. Ma comunque continua ad esserci un sole limpido, di quello che trovi sulle alpi d'estate (quasi). Esco di casa e in lontananza sento una musica che ha qualcosa di familiare, con sotto un battito vagamente danzereccio, estremamente old-style. Mi avvicino alla musica, proviene da una macchina parcheggiata alla fine della strada. E quando arrivo vicino all'auto, ecco che risuonano le parole "sento nell'aria c'e' gia'...". Felicita'. E' Al Bano. E' primavera. E il cuore mi si riempie. Cosa posso avere di piu' dalla vita che una canzone di Albano che riempie una domenica mattina a Manchester?
sabato, novembre 19, 2005
and on the sixth day god...

Il bello di Manchester e' che quandodi notte combatti il freddo aspettando l'autobus alla fermata, puo' succedere che ti fermi un senzatetto o un uomo con tutte le sembianze di esserlo e ti chiede se e' tua la carta di credito che ha trovato per terra. E in quell'attimo in cui ti interroghi se e' piu' coglione lui che non se la tiene o tu che non la prendi, come un fantasma lui sparisce nella notte rossa.
Il bello di Manchester e' che girando per strade che non conosci di sera, cercando di combattere il freddo, mentre i tuoi amici sono in ritardo, ti capita di trovare sui muri dei palazzi figure della Madonna con a fianco scritto "AND ON THE SIXTH DAY GOD CREATED MANchester".
Il bello di Manchester e' che adesso che e' arrivato davvero il freddo e le temperature cominciano a scendere sotto zero, stranamente e' arrivato anche il sole.
Il brutto di Manchester sara' quando da domani il sole se ne andra' mentre il freddo no.
giovedì, novembre 10, 2005
L'angolo della cultura n.1

Inauguro una nuova rubrica: l'angolo della cultura.
E lo faccio proponendo una breve poesia di Prevert, indispensabile se volete fare una figura decente nel vostro futuro ruolo di intellettuali di sinistra sottoccupati.
Enjoy
"Tempo perso" di J. Prevert
Davanti alla porta dell'officina
l'operaio s'arresta di scatto
il bel tempo l'ha tirato per la giacca
e come egli si volta
e osserva il sole
tutto rosso tutto tondo
sorridente nel suo cielo di piombo e
strizza l'occhio
familiarmente
Su dimmi compagno Sole
forse non trovi
che è piuttosto una coglionata
offrire una simile giornata
a un padrone?
(P.S. quello nella foto e' il comignolo di casa mia, e quello sullo sfondo e' il cielo di una "tipica" giornata di sole a Manchester)
mercoledì, novembre 09, 2005
E la polizia busso'
Ieri sera la polizia ha bussato per la terza volta alla mia porta chiedendo se avevamo visto qualcosa a riguardo di un crimine commesso vicino alla mia casa. "Cosa e' successo? un altra sparatoria?". "No". "Un altra violenza sessuale?". "No, e' stata svaligiata una casa". "E vi sembra il caso di disturbare le persone per cosi' poco?"
domenica, novembre 06, 2005
Trip n.3: Lake District

Annuncio con rammarico che il mio nuovo ombrello ha ceduto alla prima vera pioggia che ha affrontato. L'avevo comprato per 1,5 pound dal mio "pound saver" pakistano di fiducia, e forse c'era un motivo se costava cosi' poco. Comunque ho preso la decisione coraggiosa di non comprarne piu' e fare come gli inglesi: fare finta che non piova. E funziona!
Comunque il decesso e' avvenuto sabato, quando mi sono infilato in un'altra gita per studenti internazionali. Destinazione: Keswick.
Keswick e' un piccolo paesotto (cinquemila anime) incastrato nel cuore del Lake District, nella Cumbria (un centinaio di chilometri a nord di Manchester). Il Lake District e' una considerata la zona piu' bella d'Inghilterra, la zona dei poeti romantici, quella dove Coleridge e Wordsworth componevano poesie passeggiando in cerca di Daffodils (giunchiglie).
"I wander'd lonely as a cloud
That floats on high o'er vales and hills,
When all at once I saw a crowd,
A host of golden daffodils."
Devo dire che di Daffodils non se n'e' vista neanche l'ombra. Ma di fango parecchio. Mi viene il dubbio che Wordsworth se li sia sognati. Probabilmente i poeti inglesi non morivano giovani perche erano romantici e eroici. Era perche' a furia di camminare per il Lake District, una bella polmonite e' quantomeno assicurata.
La mattina ho tentato di fare una passeggiata con i miei compari di viaggio per cogliere la poesia del luogo, ma dopo un'ora passata a prendere pioggia che cadeva "orizzontale" in faccia, siamo tornati indietro e ci siamo infilati in una tea room a consolarci con una serie di cioccolate calde.
Il pomeriggio poi, misteriosamente, la pioggia si e' interrotta e il cielo si e' aperto (dire che sia uscito il sole e' quantomeno eccessivo). Sono ricomparsi i colori del luogo, che la pioggia aveva ammutolito: verde, granata, marrone, ocra.
Abbiamo sfruttato le due ore che mancavano alla partenza del pullman per correre fino a un cerchio di pietre risalenti al neolitico (stile Stonehenge, ma in piccolo), in cima a una collina. Come dice la mia fidata guida "Lonely Planet", "dobbiamo ammettere che i popoli del neolitico sapevano riconoscere un bel posto quando lo vedevano". Dalla cima della collina, con l'orizzonte che spaziava tutto attorno sulle montagne che facevano da cornice, e con il vento stranamente caldo, mi sono riappacificato per un attimo con il clima inglese. Il posto e' finalmente ha riacquistato suo fascino che il grigio inglese gli aveva tolto.
(Poi capiamoci. Niente di diverso dal nostro appennino. Ma quando vivi a Birmingham, o nelle brughiere dello Yorkshire, anche il Lake District puo' semprare un paradiso in terra, in cui riversarsi a fare vacanza primaverili con i figli in cerca di Daffodils)
giovedì, novembre 03, 2005
Manchester City vs. Aston Villa 3-1

Provo a rianimare questo blog e ad attirarmi le simpatie della curva sud, parlando di calcio. Lnuedi' sera. Posticipio di Premier League: Manchester City vs Aston Villa. So che i puristi staranno pensando: "sei a Manchester, e vai a vedere il City e non lo United". Ignoranti! Il City in classifica e' messo meglio dello United. E ancora meglio e' piazzato il Wigan, terza squadra della citta', incredibilmente al secondo posto dietro al Chelsea ormai in fuga. Comunque...
Entrare in uno stadio completamente sprovvisto di qualsiasi controllo di polizia mi ha fatto un po' preoccupare. Quasi che in verita' fosse una partita di cricket. E invece era calcio (anche se in difesa l'Aston Villa non merita l'appellativo di squadra di calcio).
I nostri biglietti numerati ci hanno portato nei nostri posti in seconda fila, giusto dietro la bandierina del corner. In Inghilterra non ci sono barriere o reti divisive e il campo era quindi veramente a due metri. Questo vuol dire che quando tiravano i calci d'angolo ero in grado di capire se il calciatore si era fatto la doccia quel giorno, ma ignoro cosa sia successo nell'altra meta' del campo. Il mio posto era poi esattamente al confine tra la zona dei tifosi del City e quella dei supporters del Villa. Le barriere non esistono nemmeno tra opposte tifoserie e per tutta la partita ho osservato un misero studente indiano, una ragazza inglese, e un omone nigeriano che facevano da barriera tra le tifoserie e avrebbero dovuto badare alla mia incolumita' nel caso il risultato avesse preso una brutta piega.
Quello che colpisce degli stadi inglesi e' quello che non c'e', piu' che quello chesi vede. Non ci sono reti tra gli spalti e il campo. Non ci sono reti fra le opposte tifoserie. Non ci sono bandiere, striscioni, fumogeni. Non c'e' tifo organizzato. Essendo a meta' tra le due tifoserie, piu' che sulla partita mi sono concentrato sulla loro "partita". Il vero spettacolo e' quello. Penso di avere imparato venti nuovi modi in cui usare la parola "f**k", e questa veniva scambiata non tra gruppi organizzati ma tra singoli tifosi che si fissavano reciprocamente e iniziavano a prendersi di mira guardandosi negli occhi, e sfottendosi fino alla morte, coni tifosi del City che da eterni secondi della classe guardavano con estremo piacere i londinesi annichiliti. Il tutto era estremamente divertente, e aggiungo che e' una bella sensazione quella di entrare in uno stadio che non e' "militarizzato". Finito il pericolo hooligans? Per niente. Come mi hanno spiegato, semplicemente non si trovano piu' allo stadio. Si incontrano direttamente nei parcheggi al riparo dalla polizia... molto piu' semplice.Per quanto riguarda la partita, palla a terra e correre. Niente di piu'. Alla fine 3 a 1 per il City