Trans-Canada Vol.2 - Quando il mondo non finisce alla fine del mondo
Venerdì 25 luglio. Ore 11 di sera.
Cosa succede quando scopri che il mondo non finisce alla fine del mondo? All’inizio rimani deluso. La fine non è veramente una fine se non è la fine. Poi pensi che se la fine non è la fine, il mondo deve pur finire da qualche parte e ti metti a cercare questo posto. Fine. Questo è il resoconto di questa giornata.
Al risveglio, colazione veloce in un bar, giusto il tempo di mettere su internet i post precedenti e vergognarmi un po’ del fatto che il governo Italiano definisca l’immigrazione una “emergenza nazionale” (segnale di allarme, al bar ho rifiutato un espresso per bere un caffè americano). Poi mi sono recato sul porto. E ho scoperto che il mondo non finiva alla fine del mondo. La nebbia fitta di ieri sera si era in parte dissolta. Nel punto in cui ieri sera il cielo e il mare si confondevano in un tutt’uno cenereo, nel punto in cui secondo i miei calcoli non avrebbe dovuto esserci altro che l’oceano aperto, bè, in quel punto c’era una striscia di terra. Con case, pure. E un porto. Ero arrivato ad Halifax per vedere l’oceano aperto e poi scoprire che Halifax domina la costa orientale di una baia. Sulla costa opposta un’altra città.
Torno in ostello dove incontro Pernelle, la mia svizzera dai riccioli biondi. Cominciamo a pianificare cosa fare nella giornata. Noto il suo indispettimento improvviso quando provo a rendermi utile nel cercare in che modo può raggiungere la prossima meta del suo viaggio attraverso il Canada. L’indispettimento diventa ironia quando estraggo dal mio zaino la Lonely Planet. A questo punto lei non può più resistere “Avevi prenotato questo ostello in anticipo?”. Ammetto di si. “Tu pianifichi tutto quello che fai?”. Mi ha beccato. “Si, devo essere completamente in controllo di tutto quello che succede intorno a me”. Le differenze tra il nostro modo di viaggiare e di rapportarci con gli altri emergono. Per lei fare programmi durante un viaggio toglie il gusto del viaggio. E’ l’umore, il sentimento e l’istinto del momento che determina la meta. Non il contrario. Penso sia questo lo spirito che ci vuole per trovarsi a 20 anni a Katmandu senza un chiaro progetto e otto mesi dopo a Bankgok. Mi rendo conto del mio essere razionale e pianificatore fino allo sfinimento. In verità, a me viaggiare non piace nemmeno. Non è il viaggio che mi attrae. E il provare a ricostruire l’ordine e al sapermi adattare ogni volta che si arriva in un posto nuovo che mi affascina. Il ricordo del momento a volte conta più del momento.
La mattina inizia tardi con una tipica visita turistica – pianificata – al museo locale di arte contemporanea. Tanto per ricordarci che siamo europei e intellettualmente raffinati. Poi di fronte a un panino con troppa verdura all’interno per i miei gusti, mi mostra una piccola cartina della zona. “Andiamo qui!”. Il punto sulla mappa dice Herring Cove. La Lonely Planet non ne parla, e la cosa mi rende sospettoso di natura. Dice, “voglio vedere l’oceano. Questo posto è sull’oceano”. Non posso obiettare. Una rapida ricerca su Google svela che Herring Cove è un buco nel mezzo del nulla, poche case sparse lungo una strada, e un’ora di autobus di linea.
Penso che ci è mai riuscito ad arrivare alla fine del mondo non lo ha mai fatto pianificando come arrivare alla fine del mondo. E penso che non posso che fidarmi di quei riccioli biondi, per di più svizzeri. L’autobus parte vicino al nostro bar e dopo un’ora ci troviamo ad attraversare delle case sparse e fatiscenti, dove secondo Google dovrebbe esserci un villaggio sul mare. Chiedo all’autista, “quale è la fermata più vicina alla spiaggia?”. Mi guarda dubbioso. “Spiaggia? Non c’è nessuna spiaggia, solo rocce sull’oceano”. Tiro un sospiro di sollievo. Quantomeno c’è l’oceano. L’autista ci da indicazioni su come raggiungere un cammino semi-panoramico, anche se l’ultimo turista si è visto forse nel 1988, quando Gelindo Bordin vinceva la maratona di Seul. Camminiamo per una mezz’oretta inerpicandoci su una collina fino a che davanti a noi non si spalanca l’oceano. Poi una scarpinata di un’ora su un sentiero roccioso che costeggia la costa, fino a una montagna di pietre che sembra un po’ una rovina celtica in un posto dove i celti non hanno mai messo piede. Ma la vista e il vento sono degne di un posto particolare. Ecco come finisce il mondo quindi.
Saluto Pernelle dopo una bella cena (crepè ai frutti di mare, con cozze e gamberi come contorno), ci scambiamo i contatti e le auguro buona fortuna. Domani si riparte. Si torna ad ovest. Si torna ad alternare le pagine di un libro con la vista del Canada che scorre dal finestrino del treno.
2 Comments:
se non te la sei °#*@][§ sei proprio un %*+£^
era pure svizzera!!!!
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